Bordin Venticinque anni nella leggenda

02 Ottobre 2013

Un quarto di secolo fa, la storica vittoria olimpica del maratoneta azzurro a Seul 1988

2 ottobre. Oggi, le nozze d’argento di Gelindo Bordin con il suo oro, l’oro di Seul, quello del ghigno diabolico che rifilò ad Ahmed Saleh, il gibutiano che veniva da uno dei posti più caldi della terra e in quel momento sentì addosso un freddo terribile. Aveva guardato da sopra la sua spalla sinistra e non aveva visto nessuno, ma quando aveva cambiato lato aveva trovato al fianco quel viso da fauno. Mancava un chilometro e mezzo e il sogno di Gelindo divenne l’incubo di Ahmed, che ruppe come un trottatore e smarrì anche il secondo posto provocando un totale rimescolamento del podio di Roma ’87: il bronzo divenne oro, l’oro (Douglas Wakiihuri) argento; l’argento, bronzo.

Quella sera Gelindo ne ebbe da raccontare, a cominciare da quello strano nome che il padre prese da un romanzo popolare, da un almanacco, da una saga semplice. Ad occhio, Gelindo e Nerino (il nome del fratello) non dovevano essere cavalieri, al massimo scudieri. Fu proprio con un’attenzione che assomiglia all’umiltà che costruì il migliore dei giorni possibili, marcando senza affannarsi o smarrirsi in violente rincorse, rimanendo nelle posizioni importanti, abbandonandosi anche a un senso di appagamento quando Saleh andò via e Wakiihuri lo mollò. Terzo come ai Mondiali, non male, si disse, mentre il confine dei 35 km era stato superato e si avvicinavano i Ruggenti 40, come li chiamerebbero marinai consumati interpreti delle tempeste.

Solo che il kenyano cresciuto in Giappone non guadagnava un metro e allora tanto valeva provarci, tentando di ignorare i dolori che gli attanagliavano le gambe: l’umidità coreana può trasformarsi in morsa.

Dopo un sorpasso che mai la F1 potrà uguagliare, l’ingresso nello stadio, il ghigno che diventa urlo e poi sorriso, la scrittura rapida di un romanzo alla Dumas: Ottant’anni dopo. Ottant’anni dopo Pietri – Dorando, anche lui un nome strano, insolito, da Novecento di Bertolucci – un italiano diventa campione olimpico della maratona e questa volta titolo e medaglia non li può sottrarre nessuno, è tutto vero. E a riuscirci è questo veneto che vero maratoneta diventa proprio in Oriente, a Hiroshima, in una coppa del Mondo che chi c’era non ha dimenticato, che conquista la prima corona importante nell’86 a Stoccarda davanti a un sorpreso Orlando Pizzolato, re di New York.

Gelindo ha lasciato il segno - due titoli europei e un successo a Boston, sempre negata in più di un secolo a un campione olimpico -  e lui, sempre allegro, ha saputo offrire anche una parentesi triste: fu a Barcellona quando la difesa della corona finì con un salto su un avversario caduto, con una lesione al ginocchio. Nel ventre di Montjuich apparve su una carrozzina, con un ghigno triste, questa volta. L’allenatore di Gelindo era Luciano Gigliotti che avrebbe fatto il bis con Stefano Baldini. Due acuti per un vecchio amico di Pavarotti: con Bordin vinse all’alba, come nella Turandot, e nella notte che divenne placida, come nel Trovatore, sedici anni dopo, ad Atene.

Giorgio Cimbrico

bordin_seul                  Gelindo Bordin in trionfo dopo la vittoria olimpica di Seul 1988 (foto archivio FIDAL)



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