Elisa Rigaudo: ''Arrivederci marcia''

23 Febbraio 2017

Il bronzo olimpico, mondiale ed europeo annuncia il ritiro dalle competizioni: "Dopo quattro Olimpiadi, sette Mondiali e 25 presenze in Nazionale è ora di dire basta"

di Anna Chiara Spigarolo

"Ricordo quel quarto posto come bellissimo: mi ero rimessa in gioco da gennaio dopo la nascita di Elena, e non immaginavo di essere già così competitiva. La gioia al traguardo fu immensa”. Elisa Rigaudo a Torino ha ricevuto dalle mani del presidente del CONI Giovanni Malagò e del presidente della FIDAL Alfio Giomi la medaglia di bronzo della 20 chilometri di marcia dei Mondiali di Daegu 2011, riassegnato a seguito della squalifica per doping della russa Olga Kaniskina (seconda al traguardo). Un’occasione felice quella sul palco del Piccolo Regio, in cui la 36enne azzurra, una delle più grandi campionesse dell'atletica Italiana, colonna della Nazionale e delle Fiamme Gialle, annuncia: “Quella di Rio è stata la mia ultima gara. Dopo 4 Olimpiadi, 7 Mondiali e 25 presenze in Nazionale è arrivato il momenti di dire basta. Senza rimpianti, ma al contrario con un bagaglio di ricordi felici”.

1h27:12 di personal best che ne fa la terza italiana di sempre sui 20km, già bronzo olimpico (a Pechino 2008) ed europeo (a Goteborg 2006) Elisa Rigaudo ha aggiunto alla collezione – sei anni dopo aver tagliato quel traguardo in Corea - anche la medaglia mancante, quella iridata. “Daegu la ricordo come una gara difficile, in cui fece la differenza la capacità di gestirsi. Ora è arrivata la medaglia, e la accolgo senza rancore, come se fosse la ciliegina sulla torta di quel Mondiale unico. Che l'antidoping funzioni è un bene. E il regalo più grande è stato ricevere la medaglia di bronzo davanti ai miei figli. All'epoca non sarebbe stato possibile: Elena aveva pochi mesi e Simone esisteva solo nei pensieri".

Quale sarò il tuo ruolo nell'atletica? "Ora farò la finanziera, ma credo di poter dare ancora molto al mio sport. Non mi sento tagliata per fare il tecnico personale, ma ho vent'anni di esperienza internazionale da mettere al servizio dei giovani e della marcia in generale".

Come è arrivata la decisione dell’addio? "Dopo Rio ho iniziato la preparazione invernale come sempre. Elena, la mia figlia più grande, a settembre ha iniziato la scuola elementare e così non era più possibile passare lunghi periodi lontano da casa, a Castelporziano.

Patrick Parcesepe, che mi ha seguito in questi anni, giustamente non può allenarmi per email, e così, pur mantenendo il rapporto con lui, avevo iniziato a collaborare con Lorenzo Civallero".

E poi cosa è scattato? "La ripresa autunnale è sempre faticosa, ma questa volta ne ho sentito il peso. Quando ho rimesso le scarpe non ho più sentito quel fuoco che mi ha bruciato dentro per vent'anni. Ho capito che era il momento di dire addio, o meglio arrivederci".

E' Antonella Palmisano la tua erede? "Mi rivedo in lei. In questi ultimi anni abbiamo costruito un rapporto meraviglioso, Antonella è una ragazza semplice, entusiasta, appassionata, eppure con i piedi ben piantati per terra. Interpreta la marcia con allegria e grande determinazione. Ma soprattutto è talentuosa".

Che consiglio le daresti? "Ha tutto ciò che serve per togliersi le più grandi soddisfazioni, lo ha dimostrato col quarto posto di Rio. È molto matura per la sua età e con un gran senso per la famiglia. Ecco, se dovessi darle un consiglio le direi di non avere fretta ad avere bambini".

Tu ne hai fatti due, Elena di sette anni e Simone di due. Come sei riuscita a conciliare la famiglia con gli allenamenti e le gare? "Devo molto a Daniele, mio marito. Ci siamo conosciuti a gennaio del 2004 mentre io preparavo la mia prima Olimpiade, quella di Atene dove sarei stata sesta. Lui ha conosciuto fin da subito le mie esigenze di atleta, e in questo mi ha rispettata e incoraggiata. E' entrato nel mio mondo in punta di piedi e mi è stato vicino, senza mai sentire il peso di seguirmi in giro per il mondo. Non è il marito che guarda la gara da casa davanti alla TV, Daniele è sempre stato presente a bordo percorso: alle Olimpiadi, ai Mondiali, in Coppa del Mondo o in Coppa Europa. E poi, quando sono arrivati i bambini, ho avuto due tifosi in più".

I tuoi figli hanno già imparato il gesto del tacco e punta? "Fino a quest'estate i ragazzi vivevano la marcia nella quotidianità, perché a Castelporziano ci andavo con tutta la famiglia, venivano con noi in raduno e anche alle gare. Il sabato Patrick allena i ragazzini al campo e Elena provava qualche passo... Ora dice: 'Mamma faceva la marcia'. Con il verbo già coniugato al passato... se n'è accorta prima lei di me!".

Alla fine hai messo "in marcia" un’intera famiglia… "13 anni di spostamenti, prima solo con Daniele poi anche con i bimbi, fino all'ultimo grande appuntamento, i Giochi Olimpici di Rio (11° posto ndr).

E' stato impegnativo ma anche un'occasione unica. Insieme da Robilante, che è da sempre la nostra base, abbiamo girato il mondo, e ora abbiamo una valigia di ricordi indimenticabili. Siamo entrambi consapevoli della grande esperienza che è stata. Sono una privilegiata: ho fatto convivere felicemente la mia passione, il mio lavoro e la mia famiglia. Ora dovremo trovare altre scuse per viaggiare!".

Ora tutta la famiglia ha cambiato vita: "Un anno fa la ditta di Daniele ha lasciato a casa 90 dipendenti. Lui da commercialista si è reinventato imprenditore agricolo: facciamo i fagioli e le patate nella bella stagione, le castagne in autunno, la legna in inverno. Produciamo anche un ottimo miele".

Sono anni difficili per il movimento, come li hai vissuti? "Credo di aver attraversato gli anni peggiori della marcia. Ora che cominciano ad arrivare le squalifiche, che le classifiche vengono riscritte, sembra anche più buio... ma è necessario. E' come togliersi un dente, è molto doloroso, ma se vuoi guarire, devi farlo. Per i giovani è d’esempio: sanno che chi sbaglia verrà punito seriamente, che chi ha imbrogliato non potrà rimettersi in gioco. E' importante".

A chi vuoi dire grazie? "A tre tre persone. A Mario Bianco, che mi ha portato alla marcia; a Sandro Damilano, che mi ha costruita; a Patrick Parcesepe, che mi ha rifinita e dopo dieci anni di marcia è riuscito a darmi ancora qualcosa di nuovo".

Il momento più emozionante? "Entrare allo stadio di Pechino, marciare verso il bronzo olimpico, con 80mila persone in tribuna… che però tifavano per la quarta, la cinese Liu Hong". (ride ndr)

Il momento più difficile? "Sempre a Pechino, ma ai Mondiali del 2015. La squalifica, la prima della mia carriera, è stata un buco nero, un macigno. Ho imparato una cosa importante: che accadono cose che possono abbatterti, piegarti, ma l'importante è avere la forza di rialzarsi".

La gara più bella? "Proprio Daegu, quel quarto posto che ora è diventato di metallo. In Corea ho marciato con la testa e col cuore, ho combattuto con tutta me stessa come mai avevo fatto prima. Al traguardo mi sono battuta una mano sulla spalla: Elisa, sei stata proprio brava". Elisa, sei stata proprio brava.

LA BIOGRAFIA, LE FOTO E I RISULTATI DI ELISA RIGAUDO

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Elisa Rigaudo con la famiglia a Rio


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