I 60 anni di Steve Ovett

09 Ottobre 2015

Il 9 ottobre del 1955 nasceva il mezzofondista britannico, oro olimpico degli 800 e bronzo nei 1500 a Mosca 1980, storico rivale di Sebastian Coe 

di Giorgio Cimbrico

Stretto tra Paul Korir e Bethwel Birgen, ancorato alla 49esima posizione nella lista di sempre con un 3’30”77 reatino della pregiata annata 1983, abita un sessantenne che tutti hanno molto amato: Steve Ovett. Brighton, 9 ottobre 1955, dice il passaporto con leone e liocorno, presentando un volto che, nella sua sfera, è diventato un modello, un simbolo, un’icona, come usa dire oggi. Come l’Alfie di Michael Caine, come David Hemmings di Blow Up, come George Best bello e dannato. Steve era gioventù, amore e rabbia, come nel “manifesto” del nuovo cinema britannico, era il ragazzo del popolo, era il provocatore che correva con una maglia stinta dell’Unione Sovietica, che tracciava un saluto e un bacio sulla telecamera. Nella lunga storia della rivalità con Sebastian Coe, ebbe l’affetto degli anticonformisti e quel sentimento si trasformò in passione.

La sua prima volta in un Olimpico romano molto diverso dall’attuale: secondo negli 800 che valevano il titolo europeo, alle spalle di Luciano Susanj da Fiume, Rijeka, Croazia, allora Jugoslavia. Gianni Brera scrisse: “Di quel ragazzo sentiremo parlare”. Ragazzo era la parola giusta: Steve aveva 19 anni e provava ad apparir più maturo e minaccioso non rasandosi, ma la barba era rada, a macchie. Aveva l’andatura del purosangue: fosse nato cavallo, avrebbe meritato un ritratto di George Stubbs, a fianco di Theodore Gericault il miglior pittore “equino” della storia dell’arte.

Per cosa dobbiamo ricordare Ovett? Ad esempio perché lui, meraviglioso migliarolo, non vinse mai l’oro olimpico dei 1500 ma la mezza distanza, in un concitato finale moscovita immortalato da una foto che ritrae Seb Coe perdere l’abituale aplomb e offrire un volto spiritato. Il futuro Lord si sarebbe rifatto sei giorni dopo, con il primo capitolo della sua accoppiata sulla versione metrica del miglio britannico. Steve finì terzo.

E, andando avanti con i motivi per cui val la pena rivisitarlo (rivalutarlo no, non ne ha bisogno), per quelli che qualcuno, con bell’accostamento all’opera più famosa di John Reed, etichettò “I dieci giorni che sconvolsero il miglio”, una rapida e violenta saga che, tra il 19 e il 28 agosto 1981, prese il via a Zurigo, proseguì a Coblenza e si chiuse sulla pista di Bruxelles. Nel ’79 il padrone era Coe, nell’80, sulla stessa pista, al Bislett, era stato rilevato dal rivale. In quella fantastica, pirotecnica parentesi, al Letzigrund Coe riprese la corona per perderla una settimana dopo e concedere un effimero regno di 51 ore a Steve. Il lungo duello, rigorosamente a distanza, portò il limite da 3’49”0 a 3’47”33.

Uno scenario simile, di sapore bellico, sui 1500: Steve uguagliò il 3’32”1 di Seb, per portarlo a 3’31”36 e a 3’30”77. Curiosamente proprio a Rieti, nell’86, Coe ottenne il miglior tempo della sua carriera, un secondo secco sotto il crono del rivale. Nel frattempo il record mondiale era passato nelle mani di un altro Steve (Cram) e di Said Aouita, detto il kaid. Dopo il ritiro, a 33 anni, Ovett è vissuto in Australia, dietro un microfono ha seguito e commentato molte Olimpiadi e Mondiali, ha perso i capelli e guadagnato centimetri in circonferenza riuscendo a respingere l’assalto della pinguedine. A Brighton gli avevano eretto una statua che è stata rubata e sostituita con una riproduzione. Se Shakespeare li avesse conosciuti, a Seb avrebbe riservato la parte di un aristocratico, forse di un re. Steve sarebbe stato un beffardo cortigiano, svelto di lingua e di spada. I più sinceri auguri. Come diceva Marylin Monroe in “A qualcuno piace caldo”, certi compleanni fanno riflettere.

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