Mondiali story: 40 anni da Helsinki a Budapest

16 Agosto 2023

Dall’oro di Cova al titolo di Stano, passando per i doppi trionfi di Damilano e Fiona May, le imprese di Panetta, Didoni, Sidoti, Brugnetti, le meraviglie di Mori e Gibilisco. E tutte le altre medaglie azzurre

di Fausto Narducci

I primi quarant’anni dei Mondiali di atletica. Calendario alla mano l’anniversario è appena terminato, visto che la prima edizione di Helsinki 1983 si disputò dal 7 al 14 agosto, ma è nel fine settimana a Budapest che si festeggerà il compleanno della rassegna che ha cambiato la storia dell’atletica. Oggi sarebbe impensabile fare a meno dei Mondiali ma era lo stesso quarant’anni fa quando la rassegna iridata fu ideata? Probabilmente non piacque a tutti, fuori dall’atletica, l’idea meravigliosa spuntata nella testa di Primo Nebiolo, chi se non il rivoluzionario presidente della Iaaf. La prima definizione “Iaaf World Championships in Athletics”, rimasta fino al 2009, fu varata nel congresso Iaaf del 1978 in Portorico, sulla scorta di due precedenti iridati riservati a specialità rimaste fuori dal programma olimpico: i Mondiali del ’76 a Malmoe (incentrati sulla 50 km di marcia) e quelli dell’80 a Sittard in Olanda (dedicati ai 400hs e ai 3000 metri femminili). Ma nel frattempo in occasione dei Mondiali di cross ’80 di Parigi il Consiglio della Iaaf aveva già esaminato le candidature di Los Angeles, Tokyo, Stoccarda e Helsinki (con la vittoria della sede finlandese al ballottaggio su quella tedesca per 11 a 6) per la prima rassegna iridata ufficiale. I Giochi boicottati di Mosca furono quindi gli ultimi ad assegnare anche il titolo mondiale dell’atletica lasciando in eredità quella quadriennalità che cominciò a far perdere il sonno a Nebiolo che sognava non solo la cadenza biennale (come avvenne in seguito) ma addirittura annuale. Poi anche lui, di fronte all’impossibilità di scontrarsi con Olimpiadi e Mondiali, dovette accontentarsi di diventare padrone degli anni dispari…

E allora passiamoli in rassegna questi 40 anni iridati, scegliendo i momenti più memorabili, in chiave azzurra, edizione per edizione.

COVA A HELSINKI ’83
Raramente una rassegna ha raggiunto il vertice del successo alla prima edizione come successe ai Mondiali nell’83 a Helsinki, grazie alla passione ma anche al culto per l’atletica dei finlandesi. Raramente l’orgoglio di esserci stati - per atleti, spettatori e addetti ai lavori - ha mantenuto la sua forza nel tempo come accaduto ai “reduci” di quella prima edizione. Allo stadio olimpico di Helsinki il mondo dell’atletica visse qualcosa di magico e indimenticabile. A livello globale la sfida nel medagliere ristabilì le gerarchie dopo il boicottaggio moscovita e prima di quello di Los Angeles: Germania Est prima negli ori (9), Usa nel totale dei podi (24) di misura sull’Urss (23). Ma resta negli occhi soprattutto l’alternanza sul primo gradino del podio di fenomeni vecchi e nuovi destinati a fare la storia dello sport: Carl Lewis, Edwin Moses, Sergey Bubka, Steve Cram, Daley Thompson, Marita Koch, Jarmila Kratochvilova, Mary Decker, Grete Waitz, Tamara Bykova, per citarne solo alcuni. Il tutto condito da momenti thrilling come la vittoria della giavellottista di casa Tiina Lillak all’ultimo lancio, la caduta dell’americano Henry Marsh all’ultima barriera mentre era avviato alla vittoria nelle siepi. Nella nostra memoria collettiva di Helsinki rimane soprattutto il ricordo di una voce televisiva, quella di Paolo Rosi, che gridava “Cova, Cova, Cova” per la vittoria azzurra nei 10.000, e di una foto di gruppo, quella degli staffettisti d’argento Tilli, Simionato, Pavoni e Mennea che si divisero anche un record italiano (38”37), che durò ben 27 anni, alle spalle degli imprendibili statunitensi ma davanti a sovietici e tedeschi orientali. Per il barlettano era la prima delle due medaglie: sarebbe arrivato anche il bronzo nei 200 metri, che ci collocò all’ottavo posto nel medagliere. 

PANETTA A ROMA ’87
Tutte le strade portano a Roma e anche la strada dei Mondiali non poteva che portare a Roma per la seconda edizione. Ma neanche lo sceneggiatore più folle e fantasioso avrebbe potuto immaginare quel caleidoscopio di emozioni contrastanti, destinate a trascinarsi nel tempo, dell’evento che non starebbe in una sola stagione delle serie tv di oggi. A Roma accadde tutto e il contrario di tutto in un Olimpico incandescente per quegli otto giorni di gara (29 agosto-6 settembre) che hanno cambiato la percezione dell’atletica non solo in Italia. Ogni gara un’emozione, a cominciare dalla sfida Carl Lewis-Ben Johnson risolta a favore dell’americano solo… all’antidoping. Delle cinque medaglie italiane due andarono al collo di Francesco Panetta che incarnò il momento d’oro del nostro mezzofondo reduce dalla tripletta europea di Stoccarda ma anche la sua personalissima vena atletica che lo portava a scardinare le regole della specialità. Il ragazzo di Calabria, trapiantato a Milano alla corte di Giorgio Rondelli, non si accontentò dell’argento “regolare” dei 10.000 alle spalle dell’imprendibile keniano Kipkoech ma nel sabato più pazzo del Villaggio Atletico stupì i 5 milioni di telespettatori davanti alla tv in quel 5 di settembre con una fuga impensabile e apparentemente impossibile, dopo il primo chilometro controllato dagli ‘alfieri’ Boffi e Lambruschini. Chi non ricorda le palpitazioni (ce la fa o non ce la fa?), la caduta di Kipkemboi e quell’ultimo giro accompagnato dal tifo calcistico dell’Olimpico. L’oro di Maurizio Damilano, l’argento di Alessandro Andrei e il bronzo di Gelindo Bordin strappato coi denti all’australiano Moneghetti addolcirono la delusione per il bronzo tolto a Giovanni Evangelisti e i rigurgiti di uno scandalo che non cancellano una delle più belle feste della storia dell’atletica. 

DAMILANO-ANTIBO A TOKYO ’91
Dei Mondiali ’91 di Tokyo, prima volta fuori dall’Europa con un solo podio per l’Italia, ci rimane ancora l’immagine vincente di Maurizio Damilano, capace di doppiare il titolo di Roma (con De Benedictis ai piedi del podio) dietro ai russi, ma anche quella del dramma di Salvatore Antibo, ultimo baluardo dei mezzofondisti europei di fronte all’ondata crescente dell’Africa. Il campione europeo di Spalato ’90 era ancora il favorito nonostante un inverno travagliato costellato da infortuni e da una subdola tracheite ma in pista successe l’incredibile: il mondo scoprì in diretta cosa significa combattere con il male. Non un semplice infortunio o un tracollo fisico ma un attacco di epilessia, quello che poi chiameremo piccolo male e accompagna il siciliano ancora oggi. Totò, ignaro di tutto, corse in testa per due giri poi arretrò davanti al futuro fenomeno Khalid Skah e di fronte all’attacco dei keniani di turno, Moses Tanui e Richard Chelimo, rispettivamente primo e secondo mentre l’azzurro doveva ancora compiere il giro finale per poi arrivare 20° e ultimo. Improvvisamente emergeva il trauma di una caduta infantile e di un incidente stradale che non impedirono però in seguito ad Antibo di cogliere un quarto posto che sapeva di podio a Barcellona ’92. L’altra delusione arrivò da Gelindo Bordin, reduce dagli ori di Seul ’88 e Spalato ’90, che arrivò solo ottavo superato anche da Salvatore Bettiol che gli passò la borraccia come Coppi e Bartali. Nella delusione, una bella immagine da tramandare ai posteri.

D’URSO A STOCCARDA ’93
Andò meglio complessivamente a Stoccarda ’93 nei Mondiali diventati biennali che lasciarono però senza ori l’Italia sprofondata al 21° posto nel medagliere. Per Giuseppe D’Urso, siciliano dal talento cristallino, l’impresa che valeva una carriera: nella finale degli 800 l’azzurro piazzò sul rettilineo finale il suo proverbiale spunto che non gli permise di superare il favorito keniano Paul Ruto, in testa dall’inizio alla fine, ma gli consentì di respingere il ritorno disperato di Billy Konchellah, solo bronzo dopo gli ori di Roma e Tokyo. L’eleganza di quegli ultimi 120 metri in un 800 chiuso in 1’44”86 entrano di diritto nella cineteca dell’atletica italiana. Gli si affiancano nel medagliere i due argenti nella marcia di Giovanni De Benedictis e Ileana Salvador mentre l’impresa di Alessandro Lambruschini va al di là del mero valore del bronzo alle spalle dei fenomenali keniani Moses Kiptanui e Patrick Sang. Con 8’08’78”, ancora seconda prestazione italiana di sempre, il toscano arrivò a 21 centesimi dal record italiano stabilito da Francesco Panetta ai Mondiali di Roma.

MAY A GOTEBORG ’95
Due, due, due: il medagliere italiano a Goteborg ’95 è ancora impresso nella memoria perché nonostante il terzo posto alla pari della Germania fu archiviato come un bicchiere pieno a metà, senza sapere che sarebbe rimasto come il record assoluto dell’Italia ai Mondiali. Era un’Italia forte soprattutto fuori dalla pista con i tre podi dei marciatori Didoni, Perricelli e Perrone più il bronzo della maratoneta Ferrara. Indimenticabile l’oro del ventunenne marciatore milanese, che per varie ragioni non sarebbe riuscito più a ripetersi. Ma la Svezia ci consegnò soprattutto il primo oro di Fiona May, italiana da un anno, che era destinata a diventare la nostra donna copertina in una storia sportiva che continua ancora oggi attraverso la figlia Larissa. Quel 6,98 ventoso (+4,3) all’ultimo salto fu solo il premio finale di una serie aperta dal 6,93 che aveva ucciso la gara già al primo salto, spegnendo le velleità della cubana Niurka Montalvo che, rappresentando la Spagna, avrebbe colto la sua rivincita a Siviglia ’99 proprio davanti a Fiona con il contestatissimo 7,06 che a molti (celebre lo sfogo del tecnico Gianni Tucciarone in tv) era sembrato nullo. Fiona con due ori, un argento e un bronzo sarebbe diventata l’indiscussa regina azzurra dei Mondiali ma quante emozioni, quante sofferenze, quanta rabbia nelle sue gare iridate. Insperato e storico anche il bronzo della 4x100 con Puggioni, Madonia, Cipolloni e Floris (39”07) che avevano compiuto la vera impresa con il 38”41 della semifinale.

SIDOTI AD ATENE ’97
Brutto risveglio fra gli uomini ad Atene ’97 dove in assenza di podi maschili furono le donne a salvare il bilancio azzurro con Anna Rita Sidoti (oro), Roberta Brunet (argento) e la solita Fiona May (bronzo). Ricordare la piccola siciliana, prima e dopo anche campionessa europea, ci rinnova il dolore della sua perdita prematura ma ci apre il cuore nel rivedere con la mente quel sorriso stampato in faccia alle due bielorusse di turno, incredule che in quel corpo minuto potesse racchiudersi tanta forza e determinazione. Un’altra delle stagioni d’oro della marcia azzurra con Alfridi e Perrone a completare una scuola capace sempre di rinnovarsi. Da rileggere anche l’arrivo dei 5000 dove la valdostana Brunet, già bronzo ad Atlanta ’96, riuscì a inserirsi fra la vincitrice rumena Gabriela Szabo e le altre leggende del mezzofondo femminile: Fernanda Ribeiro, Paula Radcliffe e Lydia Cheromei per non parlare di cinesi, giapponesi ed etiopi al seguito. Un’impresa colossale nella città ancora ferita dalla mancata organizzazione dell’Olimpiade del Centenario che aveva stentato ad accendersi per la rassegna.

MORI A SIVIGLIA ’99
Dici Siviglia e la mente corre subito all’isola La Cartuja incantata da Fabrizio Mori, al coronamento di una carriera prestigiosa che gli avrebbe regalato ancora l’argento di Edmonton 2001. Difficile dimenticare quel 27 agosto del ’99 quando la vittoria del livornese, non favorito dal pronostico, fu vissuta da noi come una corrida trionfale e dai francesi come una vergogna da lavare con accuse ingiuste all’italiano. Il fatto è che in semifinale l’azzurro era stato inizialmente squalificato per una irrilevante invasione di corsia e riammesso dopo il ricorso dell’Italia. Usciti prematuramente di scena gli accreditati Matete, Sanchez e Angelo Taylor, la proverbiale rimonta di Mori, nonostante leve meno lunghe degli avversari, bruciò soprattutto allo statuario francese Diagana che sognava di ripetere l’oro di Atene e salvò di un centesimo l’argento. Il record italiano di 47”72, poi migliorato con l’argento di Edmonton in 47”54 due anni dopo, mise d’accordo tutti. L’esultanza composta del livornese con il cilindro tricolore in testa resterà una delle immagini iconiche dell’atletica azzurra. La seconda vittoria fu festeggiata a distanza di due anni quando la squalifica per doping del vincitore, il russo German Skurygin, portò l’oro della 50 km di marcia a casa dell’azzurro Ivano Brugnetti, poi oro nella 20 anche ad Atene 2004. Ma chiedetelo all’allievo di Antonio La Torre e vi dirà che niente lo ripagherà dell’inno negatogli nella premiazione. Non bisogna però dimenticare l’argento di Vincenzo “Massimo” Modica nella maratona vinta dall’idolo di casa Abel Anton.

BALDINI A EDMONTON 2001
Nei Mondiali approdati per la prima volta nel continente americano, sia pure nella provincia canadese, ritroviamo May e Mori che, con l’oro e l’argento, salvano un bilancio arricchito dai bronzi di Elisabetta Perrone e di Stefano Baldini fuori dallo stadio e da tre quarti posti. Per il fresco papà emiliano, nella maratona un bronzo che spezzava l’egemonia africana dietro alla bestia nera, l’etiope Abera, e il keniano Biwott ma soprattutto medicava la delusione olimpica di Sydney e, con il bis di Parigi 2003, lo lanciava verso il mitico alloro olimpico di Atene 2004. 

GIBILISCO A PARIGI 2003
Come a Siviglia anche a Saint Denis non è difficile scegliere l’immagine che racchiude il miracolo italiano, non solo per quell’edizione iridata. Ovviamente parliamo dell’esplosivo Giuseppe Gibilisco che era difficile pronosticare in vetta al mondo e invece avrebbe ritrovato il podio col bronzo olimpico ad Atene. Una partita a poker rimasta nella storia che in fondo si decise a 5,75 quando in quattro superarono la prova e l’azzurro decise di passare alla misura successiva dopo due tentativi. Il siciliano fu perfetto al primo tentativo a 5,80, 5,85 e 5,90 man mano che fallivano il sudafricano Brits, lo svedese Kristiansson e l’australiano Markov. Due record italiani nella stessa gara in quel 28 agosto costrinsero i giornali a rifare la prima pagina. Onore anche alla neo-italiana Magdelin Martinez che migliorò il quarto posto di Edmonton con un bronzo impreziosito anche in questo caso dal record italiano (14,90). Ma nel suo caso la russa Lebedeva e la camerunese Mbango Etone si rivelarono troppo forti. 

SCHWAZER A HELSINKI 2005
E’ in Finlandia, dove i Mondiali tornavano nella culla a distanza di 22 anni, che l’Italia apriva quel vuoto di ori che si sarebbe protratto fino a Doha 2019. Sprofondata al 34° posto del medagliere, la Nazionale scoprì però il talento di Alex Schwazer, oggetto misterioso che Sandro Damilano aveva prelevato dal ciclismo e portato al titolo italiano. Il suo bronzo con tanto di record italiano (3h41’54”) alle spalle dei russi Kirdyapkin e Voyevodin oggi può essere letto in tanti modi. Di sicuro, dopo il bis dello stesso metallo a Osaka 2007, aprì la strada al titolo olimpico di Pechino 2008 e a tante altre cose. Con soli sette finalisti, l’Italia visse il punto più basso ai Mondiali fino ad allora.

HOWE A OSAKA 2007
Andrew Howe e Antonietta Di Martino, così diversi se non per l’innata simpatia, a braccetto nella storia per il ritorno in Giappone bagnato nell’argento del lungo e dell’alto. Il panamense Irving Saladino se lo sogna ancora di notte il reatino perché il suo ultimo salto a 8,47, che lo sopravanzava di un centimetro, sembrava aver chiuso la sfida thrilling del lungo a nostro favore. Invece arrivò quell’incredibile 8,57 di Saladino che, dietro il sorriso forzato, fece masticare amaro l’azzurro a bordo pedana e regalò al piccolo Panama un oro poi ripetuto un anno dopo ai Giochi di Pechino. Al campione europeo in carica rimaneva uno stratosferico record italiano che non poteva celare un po’ di delusione. Un primato italiano eguagliato a 2,03, come pure un argento a pari merito, che invece non lasciava rimpianti ad Antonietta Di Martino battuta solo da quel mostro di Blanka Vlasic capace di valicare i 2,05 nella gara complessivamente più “alta” della storia iridata con 5 atlete sopra i 2 metri. La gemma più lucente nella carriera della nostra regina del differenziale fra statura (1,69) e misura saltata.

DI MARTINO A BERLINO 2009
Un bis organizzativo anche per la Germania due anni dopo a Berlino che non ci portò molto bene. Addirittura dopo il ritiro dei campioni olimpici Schwazer e Brugnetti nella marcia, inizialmente chiudemmo per la prima volta i Mondiali a quota zero nei podi. Ma il tempo (leggi antidoping) aggiustò le cose trasformando in bronzo i quarti posti di Giorgio Rubino e Antonietta Di Martino. Ci vogliono otto anni per il marciatore romano dopo la squalifica del russo Valeriy Borchin nei 20 km di marcia, addirittura dieci per la saltatrice che in seguito alla cancellazione dell’argento dell’altra russa Chicherova ricevette la medaglia addirittura ai Mondiali di Doha 2019. La campana, che nel frattempo aveva vinto il bronzo (ma sul campo) anche a Daegu, con 1,99 anche in Germania aveva confermato il suo straordinario temperamento di gara nel giorno del bis di Blanka Vlasic.

RIGAUDO A DAEGU 2011
Sono i Mondiali falcidiati dal doping e in Corea del Sud ne beneficiò a distanza Elisa Rigaudo che, dopo otto anni, vide trasformarsi in argento (dietro alla cinese Liu Hong) il quarto posto sul campo in seguito alle squalifiche delle russe Olga Kaniskina (prima) e Anisiya Kirdyapkina (terza). Un giusto riconoscimento al talento della cuneese, alfiera della marcia tecnicamente perfetta, che avrebbe collezionato quattro podi nelle rassegne titolate prima dell’unica squalifica per irregolarità a Pechino 2015. Con il terzo podio iridato consecutivo della indistruttibile Di Martino furono le donne, anche qui, a salvare il nostro bilancio.

STRANEO A MOSCA 2013
I Mondiali approdavano per la prima volta in Russia allo stadio Luzniki un anno prima della famigerata Olimpiade invernale di Sochi, flagellata dal doping di Stato. Ai Mondiali la polemica fu incentrata invece sulle norme anti-gay mentre l’Italia continuava a vivere il suo momento difficile. Le due medaglie le portarono ancora le donne fuori dallo stadio. In diretta ci esaltammo con Valeria Straneo che a 37 anni, dopo aver scoperto in ritardo il suo talento per la maratona, sfiorò addirittura l’oro. La sua fu una gara di testa fino a 2 chilometri dalla fine quando la campionessa in carica Edna Kiplagat la superò senza però scavare un vantaggio incolmabile. Era l’apice della bella favola della mamma volante di Alessandria che quasi non credeva ai suoi occhi mentre tagliava il traguardo nello stadio che premiava tutti i suoi sacrifici. Poi, anche stavolta in ritardo, arrivò un’altra medaglia, stavolta di bronzo, per Elisa Rigaudo, quinta sul campo, in seguito alla squalifica delle russe Lashmanova e Kirdyapkina. Due medaglie iridate a tavolino per la piemontese sono una specie di record ma anche una beffa.

ZERO… A PECHINO 2015
Per la prima volta a Pechino 2015 l’Italia spariva completamente dal medagliere, senza neanche revisioni a tavolino. Era ufficialmente l’anno zero anche perché alla fine restavano solo quattro finalisti: tre fuori dallo stadio (Pertile quarto, Palmisano quinta e Meucci ottavo). L’ottavo posto di Gianmarco Tamberi a pari merito (2,25), unico finalista in pista, suonava come una magra consolazione per l’altista che puntava al podio dopo il fresco record italiano a 2,37 a Eberstadt. 

PALMISANO A LONDRA 2017
La marcia che porta una medaglia all’Italia non è una notizia ma che sia arrivata proprio l’ultimo giorno di una rassegna che rischiava di chiudersi senza podi (come ai Mondiali di Pechino ma anche all’Olimpiade di Rio) era un piccolo ma importante toccasana per una spedizione azzurra non proprio fortunata. Che poi l’impresa fosse venuta da Antonella Palmisano, ennesimo talento giovanile della Puglia che per varie ragioni inseguiva ancora il primo podio importante in carriera, faceva particolarmente piacere. Per giunta in una 20 km tutta di attacco in cui il drappello delle sei fuggitive rischiava di tenerla ancora fuori dal podio dopo il cedimento nell’ultimo giro. A spianarle la strada la giusta squalifica della cinese Lyu Xiuzhi, veramente sgraziata, con la connazionale Yang Jiayu e la messicana Gonzalez uniche a precedere la tarantina quasi delusa di non portare il celebre fermacapelli della mamma su un gradino più alto del podio. Neanche lei poteva immaginare, forse, che quella passerella finale sarebbe idealmente continuata fino all’oro di Tokyo 4 anni dopo. Con due soli finalisti (l’altro è Meucci nella maratona, sesto) Londra ci consegnava il peggior bilancio a punti di sempre.

GIORGI A DOHA 2019
Ancora una marciatrice e ancora di bronzo metteva l’Italia sul medagliere nel primo Mondiale fuori stagione, a Doha. L’impresa era di Eleonora Giorgi, stavolta nella 50 km, ma qui si trattava di un premio alla carriera per la milanese che aveva fatto da raccordo fra due epoche d’oro della marcia. Frenata troppo spesso dalle squalifiche, l’azzurra, oggi mamma e compagna dell’altro medagliato azzurro Matteo Giupponi, si esaltava nella notte del Qatar (partenza alle 23.30) nonostante il caldo asfissiante. Non mancavano i momenti di crisi ma la trentenne allieva di Gianni Perricelli era quasi eroica a stringere i denti, a trovare sempre nuove motivazioni e riti di gara per non mollare fino al 4h29’13” che era giocoforza lontano dal fresco primato europeo di 4h04’50” realizzato in Coppa Europa. Decisiva la scelta di passare dai 20 alla 50 dopo una lunga sfida con gli infortuni. A precederla le due cinesi di turno, Liang Rui e Li Maocuo, ma almeno l’Italia grazie a lei scongiurava anche qui lo zero del medagliere. E i 7 finalisti ci facevano crescere nella classifica a punti: 16.

STANO A EUGENE 2022
Il ricordo è fresco. I primi Mondiali statunitensi all’Hayward Field sono stati anche rigeneranti per il movimento. Non solo l’Italia ritrovava l’oro a quasi vent’anni da quello di Gibilisco a Parigi grazie alla conferma dell’olimpionico Massimo Stano (stavolta nei 35 km) ma raddoppiava i podi (come non accadeva da Mosca 2013) per merito di una incredibile Elena Vallortigara alla sua migliore gara in una manifestazione titolata. Dopo i 5 ori di Tokyo, considerando le assenze e il livello della rassegna, quella in Oregon poteva considerarsi una conferma della crescita azzurra. Dieci finalisti (come a Tokyo) nonostante Tamberi e Jacobs non al top e Palmisano infortunata, rappresentano un buon punto di partenza per Budapest nonostante l’assenza della saltatrice. Resta il ricordo dell’impresa americana di Stano a suon di record europeo (2h23’14”) grazie al forcing devastante che negli ultimi 5 km ha piegato uno dopo l’altro tutti i rivali fino al giapponese Masatora Kawano che partiva con i favori del pronostico. Altrettanto emozionante vedere di nuovo oltre i due metri, in lotta per le medaglie, la matura Vallortigara. La veneta ripeteva così il bronzo dei Mondiali under 18 e under 20 arrendendosi solo all’australiana Patterson e all’ucraina Mahuchikh. Agonisticamente la più bella gara della carriera della veneta che ha ottenuto la sua seconda misura di sempre dopo il 2,02 di Londra nel 2018 che sembrava averle messo le vertigini. 

A Budapest si riparte da qui.


CAMPIONATI MONDIALI

IL MEDAGLIERE AZZURRO

ORO (12)
Alberto COVA | 10.000 | 1983
Maurizio DAMILANO | marcia 20 km | 1987
Francesco PANETTA | 3000 siepi | 1987
Maurizio DAMILANO | marcia 20 km | 1991
Michele DIDONI | marcia 20 km | 1995
Fiona MAY | lungo | 1995
Anna Rita SIDOTI | marcia 10.000 | 1997
Ivano BRUGNETTI | marcia 50 km | 1999
Fabrizio MORI | 400 ostacoli | 1999
Fiona MAY | lungo | 2001
Giuseppe GIBILISCO | asta | 2003
Massimo STANO | marcia 35 km | 2022

ARGENTO (16)
Stefano TILLI, Carlo SIMIONATO, Pierfrancesco PAVONI, Pietro MENNEA | 4x100 | 1983
Francesco PANETTA | 10.000 | 1987
Alessandro ANDREI | peso | 1987
Giuseppe D’URSO | 800 | 1993
Giovanni DE BENEDICTIS | marcia 20 km | 1993
Ileana SALVADOR | marcia 10 km | 1993
Elisabetta PERRONE | marcia 10 km | 1995
Giovanni PERRICELLI | marcia 50 km | 1995
Roberta BRUNET | 5000 | 1997
Fiona MAY | lungo | 1999
Vincenzo MODICA | maratona | 1999
Fabrizio MORI | 400 ostacoli | 2001
Antonietta DI MARTINO | alto | 2007
Andrew HOWE | lungo | 2007
Elisa RIGAUDO | marcia 20 km | 2011
Valeria STRANEO | maratona | 2013
 
BRONZO (19)
Pietro MENNEA | 200 | 1983
Gelindo BORDIN | maratona | 1987
Alessandro LAMBRUSCHINI | 3000 siepi | 1993
Ornella FERRARA | maratona | 1995
Giovanni PUGGIONI, Ezio MADONIA, Angelo CIPOLLONI, Sandro FLORIS | 4x100 | 1995
Fiona MAY | lungo | 1997
Elisabetta PERRONE | marcia 20 km | 2001
Stefano BALDINI | maratona | 2001
Stefano BALDINI | maratona | 2003
Magdelin MARTINEZ | triplo | 2003
Alex SCHWAZER | marcia 50 km | 2005
Alex SCHWAZER | marcia 50 km | 2007
Antonietta DI MARTINO | alto | 2009
Giorgio RUBINO | marcia 20 km | 2009
Antonietta DI MARTINO | alto | 2011
Elisa RIGAUDO | marcia 20 km | 2013
Antonella PALMISANO | marcia 20 km | 2017
Eleonora GIORGI | marcia 50 km | 2019
Elena VALLORTIGARA | alto | 2022

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