Ondina Valla, la prima azzurra d'oro
05 Agosto 201680 anni fa, il 6 agosto del 1936 a Berlino, l'ostacolista bolognese conquistava il primo titolo olimpico femminile della storia dello sport italiano
di Giorgio Cimbrico
Per Ondina un’onda di anniversari: 100 anni dalla nascita, il 20 maggio 1916; 80 dal suo giorno di gloria, il 6 agosto 1936; 10 dall’addio, il 16 ottobre 2006. Il 2017 ne porterà un altro, il ventennale di quando, nei pressi dello stadio Dall’Ara, con l’aiuto di Sara Simeoni, la signora Valla piantò una giovane quercia che prendeva il posto di quella della Foresta Nera che, allo stato di pianticella, le era stata donata, così come a tutti gli altri olimpionici di Berlino, al momento di ricevere la medaglia d’oro. Al regime nazionalsocialista piacevano questi richiami alla natura, alle selve, all’età barbarica.
Valla – curiosamente, in spagnolo significa ostacolo - è stata la prima medaglia d’oro femminile della storia dello sport italiano: una medaglia rosa, come è di moda dire oggi. L’immagine del suo giorno dei giorni è una raffica di fotogrammi di un film, Olympia di Leni Riefenstahl, la donna che venne etichettata come la ninfa egeria di Hitler, personaggio unico e geniale che sapeva usare la macchina da presa e che girò infiniti chilometri di pellicola. Nella prima parte, corpi nudi, movimento armonico, rito e mito; poi, un’interminabile cronaca – secchissima e poetica, come nel gioco di ombre e luci per la maratona – che aveva al centro lo stadio-tempio di Berlino. La ristrutturazione radicale, il nuovo volto palesato per i Mondiali di calcio 2006 e per quelli d’atletica del 2009, non ha abbattuto i Propilei né cancellato i nomi dei vincitori incisi nella pietra grigia e cruda.
Finale degli 80 ad ostacoli: la più rapida allo sparo è Claudia Testoni, bolognese come Ondina, che reagisce e riporta sotto la tedesca Anni Steuer e la canadese Betty Taylor. La gara divora se stessa in poche battute, in un arrivo selvaggio, segnato da quattro tuffi, il più disperato è quello di Claudia. Il lungo boato dei 100.000, il fremito del principe Umberto, dieci anni dopo Re di Maggio, che immacolato nella sua perfetta eleganza, siede in tribuna, l’attesa. Ventotto minuti perché la camera Kirby, il fotofinish del tempo, detti la classifica e consegni il diritto di avviarsi verso il podio o indichi la porta degli spogliatoi . Valla, Steuer, Taylor: in quest’ordine e tutte con lo stesso tempo, 11”7.
“Quel giorno Ondina è stata più veloce di me”, sbrigherà per anni Claudia (quarta, 11”7 anche lei, per dare l’idea delle difficoltà offerte da quell’arrivo in fotografia) che avrebbe firmato sei record del mondo (sino gli 11”3 di Garmisch e di Dresda) e, due anni dopo, conquistato il titolo europeo a Vienna. L’unico record di Ondina è l’11”6 della semifinale berlinese, 5 agosto 1936, con vento favorevole 2,8. La regola sui 2,0 venne approvata proprio durante i Giochi, ma il limite trovò ancora posto nella galleria.
Tutto quel segue è un’accelerazione: la stretta di mano con l’erede al trono, il saluto romano sul podio, gli occhi felici sotto la pettinatura alla maschietta, il ritorno in Italia. A Palazzo Venezia Il Duce portava una sahariana bianca e aveva un occhio particolare e acceso per quella ragazza slanciata. Una fotografia con lei, il modello per tante italiane. Ondina non aveva reticenze a confessare che quella fotografia, finita in cornice, era molto amata, forse anche più della medaglia, sempre più nascosta dal trascorrere del tempo e dalle nubi accumulate sulla sua mente. In un cassetto (quale?) nella casa aquilana dove abitò per lunghi anni. Lì aveva seguito Guglielmo De Lucchi, medico e compagno di una vita.
Al campo di Bologna un giovane Enzo Biagi, aspirante mezzofondista, la osservava come un modello lontano: Trebisonda aveva infinite gambe che annunciavano un destino. La clemenza dell’allenatore cambiò quel nome in Onda, Ondina, cancellando in parte la responsabilità del padre, innamorato di quel lungo suono, forse dei profumi di vicino oriente portati dalla città sul Mar Nero, antica colonia genovese. Quel 6 agosto del 1936 è stato un capolavoro in bianco e nero, proprio il giorno berlinese di Trebisonda Valla.
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