100 anni di Nebiolo, l’atletica spettacolo
13 Luglio 2023di Fausto Narducci
Celebrare il centenario della nascita di un uomo che ha vissuto così in anticipo sui tempi sembra quasi una contraddizione in termini ma venerdì 14 luglio gli appassionati dell’atletica non potranno sottrarsi al ricordo del dirigente che ha segnato quarant’anni dello sport italiano e mondiale: Primo Nebiolo. Nell’atletica presidente di tutto, era nato il 14 luglio 1923 ed è morto il 7 novembre 1999, ma è come se vivesse ancora oggi, tanto le sue idee e le sue innovazioni sono ancora di attualità. Ispirato dal suo nome di battesimo, Primo vedeva le cose in anticipo come se le proiettasse sulla pedana di quei salti in lungo dove con i piedi non arrivò a superare i 7 metri ma con la mente aveva già oltrepassato il record mondiale di Bob Beamon. D’altra parte, proprio di fronte alla sua scomparsa — quando insieme a quello di Nebiolo smise di battere anche un po’ il cuore della federazione internazionale di cui era stato appena riconfermato presidente — avemmo una prova tangibile di tutto questo: lui non c’era da 54 giorni ma il Nuovo Millennio si aprì sportivamente proprio nel nome di Nebiolo mettendo in scena la sua ultima magica visione. Eravamo in tanti in piazza San Pietro quando Papa Giovanni Paolo II parlò ai podisti a mezzogiorno del 1° gennaio 2000 e ci mettemmo a correre su varie distanze verso la nuova era. Nebiolo aveva previsto tutto.
La sua grandezza
Pur con tutte le sue contraddizioni, Primo Nebiolo nato a Torino e sepolto a Scurzolengo (che secondo alcune fonti sarebbe il suo vero luogo di nascita ma stonava nella sua grandiosa biografia) ci fa sentire piccoli e inadeguati anche mentre ne celebriamo il centenario. Primo praticava con convinzione la megalomania, che sarebbe un difetto se questo senso di grandezza - in assenza di figli e con accanto la devota moglie Giovanna – non l’avesse trasmesso integralmente allo sport che era diventato la sua ragione di vita. Più cresceva l’immagine di Nebiolo più cresceva l’atletica che Nebiolo, nei quarant’anni vissuti da Primo inter pares, riuscì a traghettare nel firmamento degli sport dominanti anche a livello finanziario e televisivo. Grazie a lui la disciplina regina ma troppo aristocratica e povera in canna trovò spazi inusitati sui media di tutto il mondo. Una sfavillante passerella per attirare sponsor, fare spettacolo e guadagnarsi passaggi televisivi che prima di lui non si erano mai visti. Per ottenere questo bisogna, però, moltiplicare le manifestazioni e nacquero così i Mondiali all’aperto e quelli indoor, la Coppa del Mondo (per cui nell’81 fece aggiungere perfino una nona corsia all’Olimpico di Roma in modo da non lasciare fuori l’Italia), la Coppa del Mondo di maratona, e poi rassegne di marcia, staffette, corsa su strada e tanto altro ancora. Senza dimenticare la maratona di Venezia, un’altra delle sue scommesse, quando sembrava un’eresia correre sull’acqua. Ricordo personalmente che uno dei suoi pallini era quello che l’atletica non doveva andare mai in letargo altrimenti il pubblico se ne dimenticava ed ecco l’allargamento della stagione indoor, le premiazioni, le feste e il martellamento delle redazioni perché ogni giorno il suo sport avesse lo spazio dovuto.
Universiadi
Innamorato dell’atletica dai tempi del liceo classico Cavour (lo stesso che aveva avvicinato al calcio Vittorio Pozzo e avrebbe prodotto per l’atletica Livio Berruti), Primo aveva disputato le prime gare con il GUF e, dopo la parentesi della guerra partigiana nel Monferrato, aveva continuato con il Gancia e con il Lancia arrivando alla conquista del titolo italiano di salto in lungo seconda serie. Laureato in legge e scienze politiche, Nebiolo approdò al Cus da atleta praticante e ne divenne presidente nel 1947 a soli 24 anni. Da qui una carriera dirigenziale che ha pochi paragoni: presidente dell’atletica italiana dal 1969 al 1989, dell’atletica mondiale (IAAF) dal 1981 alla morte (era stato rieletto per un altro quadriennio nell’agosto 1999), membro della Giunta CONI dal 1973 (vicepresidente dal 1978) all’89 e del Cio dal 1990 grazie alla nomina ad personam da parte del presidente Samaranch per meriti speciali. Infine, fra le altre cose, presidente dell’Associazione delle Federazioni Internazionali Olimpiche estive (Asoif) dal 1983. Il primo esempio della sua creatività organizzativa furono le Universiadi: da vicepresidente della Fisu li fece nascere, sulla scorta dei modesti campionati sportivi universitari, nel 1959 portandoli a Torino quando si accorse che gli impianti olimpici di Roma ’60 non erano ancora pronti. Nel 1961 divenne così presidente della Fisu mantenendo la carica fino alla fine: lo sport universitario gli deve molto.
Mondiali
Stessa operazione per i Mondiali di atletica che erano ufficiosamente nati nel 1976 per dare dignità a qualche disciplina non olimpica ma che, a partire da Helsinki 1983, Nebiolo trasformò in una rassegna globale degna di un’Olimpiade. Passati dalla cadenza quadriennale a quella biennale, questa estate vivranno a Budapest la 19esima edizione ricordandoci i meriti del suo ideatore.
E proprio la rassegna iridata può considerarsi lo specchio della personalità di Nebiolo: all’inizio esageratamente pomposi, al punto di essere stati ribattezzati Nebioliadi, i Mondiali hanno saputo coniugare la tradizione e la spettacolarità dell’atletica grazie anche a qualche colpo di mano del loro ideatore. Come quando ad Atene 1997, di fronte allo stadio olimpico semideserto della prima giornata, Nebiolo fece “reclutare” gli spettatori che assicurarono fino alla fine all’evento una cornice di pubblico adeguata.
L’atletica spettacolo
Combattendo il predominio del calcio (basti pensare alle piste di atletica inserite nei grandi stadi italiani), Nebiolo aveva bene in mente la sua idea di atletica spettacolo e, più per il bene del suo mondo che per vanità personale, perseguì questo scopo fino alla fine. Chi ha lavorato con lui sa cosa significavano le sveglie all’alba (“Scusa ti ho svegliato?”), le solenni arrabbiature, le imposizioni al telefono e anche le decisioni dittatoriali come quando nel 1997 non accettò deroghe alla sua decisione di portare al Parco Valentino i Mondiali di cross che voleva “sprovincializzare”. Lo stesso Golden Gala, ideato ben prima che le circostanze lo trasformassero in una risposta al boicottaggio di Mosca, fu a partire dal 1980 una delle sue creature più riuscite. Avversato dai soloni dell’atletica e dalla stampa britannica che lo vedeva come un intruso, nel 1993 Nebiolo non esitò a trasferire la sede della IAAF da Londra a Montecarlo dove alla corte dei Principi ottenne l’autonomia necessaria ai suoi sogni di grandezza. Ma prima era dovuto passare dalle forche caudine dello scandalo del salto Evangelisti ai Mondiali di Roma ’87 che gli costò, da lì a qualche anno, la presidenza della FIDAL e ostacolò le sue mire alla presidenza del CONI ma non gli impedirono di dettare legge nell’atletica mondiale dove, con i suoi modi bruschi ma efficaci, fermò sul nascere ogni forma di opposizione. La lista dei suoi errori è pari a quella delle sue invenzioni, delle sue trovate, delle sue mattane. Lui che aveva ventisei lauree ad honorem, non si imbarazzava per l’inglese e il francese maccheronico con cui apriva ufficialmente le manifestazioni della IAAF. Era l’uomo degli eccessi, capace di piegare a suo favore ogni contestazione o di impegnarsi in infiniti bracci di ferro col “divo” Mennea, grazie ad un uno spregiudicato uso dei poteri che in molti casi – non in tutti – era giustificato dai fatti. Un po’ Don Chisciotte e un po’ Robespierre.
Universalità
Di tutte le battaglie di Nebiolo quella che resta più attuale è sicuramente l’apertura della IAAF verso una universalità finanche forzata ma incompresa perché troppo in anticipo sui tempi. Oggi si parla tanto di globalità ma Nebiolo è stato il primo a cogliere le potenzialità dell’atletica per allargare i confini del mondo. Uno dei suoi vanti era di aver portato la IAAF ad avere più membri dell’Onu e forse era secondario il fatto che col famoso motto “ogni Paese vale un voto” questo allargava la sua base di consensi e la possibilità di controllo. La prima sperimentazione in questo campo era avvenuta proprio con la prima Universiade a Torino nel 1959 quando si mise in testa di far partecipare la Repubblica Popolare Cinese che era fuori dall’Onu e dal Cio e non era neanche riconosciuta dal governo italiano. Pur costretto a far ammainare la bandiera dell’Università di Pechino issata sui pennoni del Comunale insieme a quella di Taiwan, in quella occasione Nebiolo diede prova dell’ecumenicità dello sport, superiore in questo anche alla politica (i cinesi entrarono in Italia con visto cecoslovacco). Indimenticabili per noi cronisti le trasferte in Cina e Giappone a metà degli Anni 80 quando la Nazionale italiana andava alla scoperta di mondi sconosciuti. Fu lui il primo a battersi per far rientrare il Sud Africa nel consesso sportivo quando si accorse che i tempi erano maturi per il ritorno olimpico. In questa chiave assegnò a Stellenbosch i Mondiali di cross del 1996 (proprio mentre il Paese di Mandela ritrovava a Barcellona ’92 la via delle Olimpiadi) e a Belfast quelli del 1999 quando l’Irlanda del Nord era più che mai divisa fra cattolici e protestanti. Ma l’impresa di cui andava più orgoglioso fu il Meeting della Solidarietà del 9 settembre 1996 a Sarajevo, quando l’atletica riportò la vita nella città spettrale a soli sei mesi dalla fine dell’assedio che l’aveva distrutta. Un ricordo indelebile per tutti noi inviati dell’atletica.
Il ricordo
Fra le altre cose, oggi il suo ricordo è tenuto vivo dallo stadio Nebiolo di Torino all’interno del Parco Ruffini e dalla strada a lui intitolata nel 2001 a Bucarest, capitale della Romania, per volontà della compianta saltatrice Iolanda Balas, quando era presidente federale dell’atletica. Ma soprattutto dalla signora Giovanna presidente dell’Associazione Primo Nebiolo e compagna onnipresente di un uomo che ha dedicato la vita allo sport. Pardon, all’atletica.
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