100 yards tra sfide e primati
10 Ottobre 2014di Giorgio Cimbrico
Quando cinque anni fa Usain Bolt caricò di luce e di watt il suo lampo berlinese, qualcuno, oltre a registrare quel prodigio in 9”58 e a sezionarlo in fette (split) di dieci metri (bastino gli 80 centesimi tra i 70 e gli 80 metri, forniti di una piccola siepe di punti esclamativi), fornì anche il suo passaggio alle 100 yards: 8”87. Un generoso 8”6 manuale, più probabilmente un 8”7 se il responso fosse stato affidato all’occhio e al dito umani.
Le 100 yards sono state a lungo il terreno di scontro di velocisti sospesi tra storia e mito: studenti e avventurieri, dilettanti e professionisti si sono cimentati nella distanza, richiamando folle e scommesse, finendo per creare un repertorio di iperboli. Erano la distanza e poco importava che le sfide avvenissero su una pista in erba o su un tratto di strada più o meno accidentato. Gli interpreti, perlomeno tra i pro, erano personaggi prodigiosi, spaccamontagne, stelle comete che apparivano e scomparivano dopo aver messo assieme un bottino o si avventuravano in tour dagli incerti confini.
George Seward, nativo di Newhaven, Connecticut, ma finito nei sacri testi come britannico per la sua intensa attività nelle isole e per avervi preso dimora (a Liverpool) sino alla morte, è il padre di tutti i record: il suo controverso 9”1/4 ha compiuto da poco i 170 anni: sull’etichetta è scritto 30 settembre 1844 e il luogo è il quartiere londinese di Hammersmith dve molti anni dopo sarebbe cresciuto Linford Christie. Su quel record sono stati versati fiumi di inchiostro più possenti del Tamigi che scorre nei pressi. Anonimi testimoni sostennero che Seward corse in leggero declivio e che la distanza non era stata disegnata su un rettilineo, ma su un tratto che presentava una curva: altri dissero che George aveva anticipato il via dello starter che non è noto se sparò una pistolettata o diede il segnale per via orale; altri ancora precisarono che a loro parere, per come si erano svolte le cose, il tempo doveva esser appesantito di mezzo secondo. Di sicuro, un tempo irreale: 9”1/4 equivale a un tempo intorno ai 9”3, esattamente il record mondiale che fornì, più di un secolo dopo, Mel Patton.
In ogni caso, Seward intascò la sua vincita, continuò a lanciare sfide, non solo sulle 100 yards, centrò un paio di 9”1/2, anche questi ammantati dal dubbio, e arricchì il suo conto in banca anche grazie al suo formidabile cagnolino, un campione in una specialità molto amata nell’Inghilterra vittoriana: i combattimenti con i topi che, attorno a una fossa, riunivano nobili, borghesi, proletari. Il campione di George ne fece fuori 45 in poco più di 7 minuti e ebbe gli onori delle cronache, raffigurato in un’incisione scodinzolante in compagnia del padrone.
Il 10 giugno 1850, un 33enne Seward si schierò al via del match contro John Howard, organizzato ai Flora Gardens di Bayswater. La tensione del confronto causò una lunga serie di false partenze, almeno una dozzina, e secondo le regole del nostro tempo la folla dei tifosi e degli scommettitori sarebbe tornata a casa scornata, senza aver potuto godere del testa a testa. Ma le cose, a metà del XIX secolo, andavano in modo diverso e chi aveva puntato riuscì infine a vedere l’avvio del suo “cavallo”. Fu Howard a prendere la testa e a tenerla, per un metro e mezzo, sino a metà gara quando, secondo un collega del tempo, “Seward completò il lavoro nella sua solita stupefacente maniera”. Howard finì a meno di mezzo metro e il 10”0 attribuito a George non fu scalfito da dubbio alcuno.
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