Addio Sergio Zavoli, campione di giornalismo
05 Agosto 2020di Giorgio Cimbrico
Sergio Zavoli era un pacato rivoluzionario, sempre guidato da un’etica degna dei campioni di una volta, dei romantici, dei visionari, dei generosi: non è un caso fosse legato da quella che potrebbe esser banalmente definita profonda amicizia (era qualcosa di più) con Federico Fellini (stesse radici romagnole) e, sin dal tempo in cui la Rai era molto giovane, ricca di passioni autentiche, ancora lontana dai giochi di potere, con Paolo Rosi che, per lunghi anni, avrebbe commentato tre discipline governate dal sacrificio: il pugilato, il rugby, l’atletica. I contatti con Primo Nebiolo, all’inizio della lunga parentesi del dirigente torinese alla guida dell’atletica italiana, sarebbero stati improntati a un clima di grande cordialità.
Gli archeologi del servizio pubblico possono oggi riesumare una sua antica radiocronaca di Fiorentina-Roma e, di pari passo, possono individuarlo come uno dei padri fondatori di “Tutto il calcio minuto per minuto” che giunse a radunare 25 milioni di ascoltatori. Ma è con il “Processo alla tappa”, che prende il via dal 1962, che Zavoli imprime il suo marchio alla narrazione dello sport, dei suoi protagonisti, dei suoi paesaggi, dei suoi tratti psicologici spesso mimetizzati, e così da rivelare utilizzando sempre lo strumento della misura, mai dell’eccesso, della volgarizzazione, delle sensazioni a buon mercato. Zavoli ne fu sempre fiero nemico.
In questo senso possedeva un solido retroterra: la cultura, la passione, il buon gusto e persino una voce calda che sapeva porre le domande essenziali alle quali era difficlle sfuggire. Il Processo itinerante aveva il suo “campo” principale e i suoi ospiti importanti sul palco d’arrivo, il terreno in cui le strategie venivano vivisezionate, le polemiche attizzate con i toni giusti: un giovane Felice Gimondi ebbe un giorno l’ardire di pronunciare la parola “casino” per subire una temporanea epurazione, non certo voluta da Zavoli ma da qualche solerte “funzionario di servizio”.
Ma era prima, durante la tappa, che Zavoli inseguiva le sue storie nelle spire infinite delle strade d’Italia: le interviste a chi provava il gusto dell’avventura sapendo che quel gesto si sarebbe rivelato un fallimento; il succedersi in bianco e nero dei volti e dei luoghi che erano lo sfondo di un romanzo avvincente, rustico, popolare, umanissimo.
Era l’Italia in cui Zavoli era cresciuto, che avrebbe proposto nelle sue interviste, scandite da primi piani che impedivano al protagonista di evitare la verità, e nelle sue coraggiose inchieste: “Clausura” rimane memorabile. Era il Paese che amava e per cui temette e non mancò di battersi scendendo agli inferi con “La notte delle Repubblica”, mai evitando l’impegno, anche in età tarda, quando, dopo la Presidenza, accettò di presiedere la Commissione di Vigilanza della Rai in momenti perigliosi.
Se l’informazione, costruzione di obiettività, analisi, cultura, è un prodotto che può esser assimilato a un magnifico risultato, oggi l’Italia ha perso un grande campione.
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