Azzurri: una stagione da film!

27 Dicembre 2022

Dall’oro mondiale indoor di Jacobs, passando per il trionfo di Stano e il bronzo di Vallortigara in Oregon, fino al super Europeo con Crippa, Tamberi e la nuova Italia. E il gran finale degli EuroCross in casa: 12 mesi show!

di Nazareno Orlandi

Sì, c’era il rischio. Certo che esisteva. C’era il pericolo che l’Olimpiade di Tokyo fosse stata soltanto un trip mentale, una immensa ed entusiasmante allucinazione collettiva e che, nemmeno un anno dopo, l’atletica italiana potesse risvegliarsi dal sogno, come si dice, “tutta sudata”. C’era questa eventualità, inutile negarlo. Così, però, non è stato. Il 2022 che stiamo salutando lascia in eredità un’altra stagione di successi, di crescita, di “conferma” per dirla con il presidente FIDAL Stefano Mei, di “maturazione” per usare le parole del DT Antonio La Torre. Dallo squillo d’inverno di Marcell Jacobs, all’impresa-bis di Massimo Stano in estate, al bronzo tutto cuore di Elena Vallortigara in Oregon, fino alla scorpacciata di medaglie degli Europei di Monaco, al trionfo di Gimbo Tamberi in Diamond League e agli EuroCross da secondi nel medagliere, la nuova Italia dell’atletica ha mandato un messaggio chiaro, fortissimo: no, Tokyo non è stata un caso.

INDOOR: BELGRADO E IL SUO RE
Anticipato da record italiani a ripetizione (i 60 di Za Dosso, il mezzofondo di Meslek, Battocletti e Sabbatini, il peso di Ponzio, Sveva Gerevini e il suo pentathlon) e dal trionfo azzurro in Coppa Europa di lanci, il primo tsunami dell’anno travolge l’arena di Belgrado. Marcell Jacobs continua a raccontare a se stesso che i 60 metri non sono la sua specialità, ma poi, come nulla fosse, azzanna il primatista del mondo Christian Coleman e l’arcigno Marvin Bracy in una finale memorabile, decisa al fotofinish per soli tre millesimi: con un pazzesco 6.41 crolla il record europeo che resisteva dal 2009. È il 19 marzo, è il sabato della festa del papà, e l’azzurro celebra l’oro tenendo in braccio il figlioletto Anthony. Dalla pista alla pedana, è una lucida follia quella che porta Gianmarco Tamberi sul podio mondiale al coperto, senza certezze tecniche ma mentalmente feroce, seppur privo di una preparazione specifica per l’evento che non era nei suoi programmi. Gimbo sente di poterci provare, si presenta a Belgrado con la bandiera dell’Ucraina stampata sul braccio, unita ai nomi degli amici Protsenko e Bondarenko griffati con un pennarello, e inventa un 2,31 che gli consegna il bronzo e tanta fiducia. In casa Italia Zane Weir fissa il primato in sala a 21,67, Pietro Arese comincia a lanciare segnali di valore globale (ottavo nei 1500) e la spedizione italiana si rivela la migliore dal 1993. In chiave internazionale, nel frattempo, commuove l’oro dell’ucraina Yaroslava Mahuchikh fuggita dalle bombe, rimbalza a un sensazionale 15,74 la triplista Rojas, impressiona il 6,20 di Mondo Duplantis, un centimetro più su del cielo e dell’immaginazione.

GOLDEN GALA: ORO PURO!
L’Oro Puro del Golden Gala Pietro Mennea inonda Roma di campioni e di medaglie. Il 9 giugno lo stadio Olimpico si riempie di passione per cinque migliori prestazioni mondiali dell’anno e cinque primati del meeting, tra cui il 12:46.33 nei 5000 del keniano Kimeli che superava dopo diciott’anni il limite di un mito keniano come Eliud Kipchoge. Il pubblico del Foro Italico non fa mancare il proprio calore a Jacobs, in t-shirt bianca nel suo giro d’onore seppur senza correre nei 100 causa infortunio; applaude il vincitore Kerley (il suo colpo di pistola al traguardo è ‘la’ foto della serata), e si spella le mani per il capopopolo Tamberi (terzo, 2,24). Per una sera, tra i trentasei azzurri in gara, la scena la guadagna Elena Bellò capace di infrangere per la prima volta il muro dei due minuti negli 800 (1:58.97) sulla scia della monumentale Athing Mu. Tanta Italia a Roma, tanta Italia anche nelle altre tappe della Wanda Diamond League, mai così popolata dagli atleti azzurri, un altro dei segnali inequivocabili della crescita complessiva del movimento.

EUGENE IRIDATA: MASSIMO&ELENA SHOW
Sì, tutto bello, però siamo all’ultimo giorno e ci manca ancora l’oro (come se fosse facile: ai Mondiali ci sfuggiva da Gibilisco 2003, Parigi, asta. Ma ormai l’abitudine…). Niente paura: Massimo Stano non tradisce. È fine luglio in Oregon, nella sonnacchiosa Eugene, dove l’atletica è religione e alle dieci di sera si spengono tutte le lampadine. Dopo una trentina di chilometri in controllo, il campione olimpico di Tokyo decide che è il momento di partire, così piega tutti gli avversari negli ultimi cinque chilometri, staccando anche l’ultimo dei giapponesi, il valido Kawano, nei mille metri finali. Giusto un brivido quando rischia di inciampare per afferrare il tricolore, poi mostra il simbolo del ciuccio, ormai tradizionale, dedicato alla piccola Sophie. I Mondiali dopo i Giochi. La 35 km (con il record europeo di 2h23:14) dopo la “venti”. Come soltanto i grandissimi. Eterno. Qualche giorno prima, l’Italia che palpita per questo sport aveva gioito per Elena Vallortigara, nella gara che la ricompensava di infortuni e delusioni. Concentratissima già dalla qualificazione, l’azzurra in finale è una macchina perfetta fino a due metri, ritrovati a distanza di quattro anni. Per alcuni minuti si assapora anche l’oro, prima che l’australiana Patterson si arrampichi a 2,02 senza la ‘x’ dell’ucraina Mahuchikh. Le lacrime più dolci, per Elena, la medaglia più attesa. Tribolato è invece il Mondiale di Jacobs, proprio come i tre mesi che lo accompagnano verso l’Oregon, inaugurati con la disavventura del virus di Nairobi e proseguita tra infortuni e rinunce. Può solo guardare da spettatore l’oro di Fred Kerley perché il campione olimpico dà forfait prima della semifinale dei 100 per un guaio all’adduttore dopo il 10.04 della batteria. Anche per Tamberi l’avvicinamento a Hayward Field non è dei migliori, tormentato dallo ‘spillo’ che avverte al retto femorale: ne esce un quarto posto comunque eccellente, beffato dall’amico Protsenko con lo stesso 2,33 (ma senza errori). È un Mondiale che mette in luce un’Italia fresca, pur in assenza di molte delle certezze di Tokyo, da Palmisano a Weir, da Sibilio a Battocletti e Randazzo. Esplodono finalmente a livello globale Dallavalle e Fantini, due quarti posti nel triplo e nel martello che si trasformeranno in medaglie agli Europei; si destreggia bene sulla pedana di ‘casa’ l’altro triplista Ihemeje (quinto), sono settime le staffette 4x400 donne e 4x400 mista (con Folorunso onnipresente e pure neo-primatista dei 400hs), è ottava un’impagabile Trapletti nella 20 km, stesso piazzamento della 4x100 femminile che mette ulteriori radici verso Monaco. Cosa non funziona? La 4x100 uomini, su tutto. Resta comunque il miglior Mondiale azzurro dal 2003.

EUROPEI DI MONACO: CHE “ITALIEN”!
Trentaquattro finalisti, un dato che per certi versi racconta gli Europei di Monaco ancora meglio delle undici medaglie (una, purtroppo, è a rischio). È Ferragosto, si torna in Baviera a vent’anni dalle medaglie di Guida-Levorato-Alfridi e la Nazionale azzurra sboccia in tutto il suo splendore, con la sensazione netta che l’effetto-Tokyo non sia soltanto uno slogan: ‘perché non posso riuscirci anch’io?’, cominciano a chiedersi sempre più azzurri. E i risultati, in un contesto competitivo come quello continentale, fioccano. Difficile, impossibile, scegliere l’uomo-copertina quando Yeman Crippa fa urlare di gioia per la rimonta d’oro, clamorosa, nei 10.000 dopo il bronzo nei 5000 (e a pochi mesi dal record della mezza), quando Jacobs fa il Jacobs e non lascia scampo nei 100 (9.95), quando Tamberi batte pure il Covid della vigilia e si prende il secondo oro d’Europa prima di confermarsi padrone della Diamond League a Zurigo. Sono sere d’estate con oltre un milione di spettatori incollati alla tv ed è impensabile stabilire una graduatoria delle emozioni, se Dallavalle piomba sull’argento, Fantini sul bronzo così come il siepista Osama Zoghlami (dietro ad Ahmed Abdelwahed incappato in una brutta vicenda), oppure memori del terzo posto di Tortu nei 200, di Giupponi nei 35 km di marcia trascinato dal piccolo Leone ancora nel pancione di mamma Eleonora Giorgi. La chicca finale delle ‘girls’ della 4x100 (Dosso, Kaddari, Bongiorni, Pavese e Hooper), il progetto più continuo degli ultimi anni, è il capolavoro che non ti aspetti. Prestazioni, quelle citate, che non fanno passare in secondo piano il magistrale quarto posto di Pietro Arese nei 1500, il deca-record di Superman Dester, la grinta di Barontini, Riva, Trapletti, Epis (poi super 2h23:54 a fine anno), la simpatia fatta potenza di Nick Ponzio, le finali-sprint di Dosso, Kaddari e Chituru Ali, generazione futuro all’Olympiastadion. Ma l’elenco è ancora più lungo e tutti meriterebbero una citazione, altrimenti come si spiega il record di finalisti (mai così numerosi nemmeno nella tanto evocata Spalato ’90) e il terzo posto nella classifica a punti con uno score senza precedenti? Sfugge soltanto il record di medaglie. Ma arriva Roma 2024, tranquilli.

EUROPEI DI CROSS: LA MANDRIA (LUNA) PARK
E di fatto siamo alla stretta attualità. L’ultimo ballo azzurro di una stagione che oltre agli eventi di punta ha offerto bottini notevoli anche ai Giochi del Mediterraneo di Orano (5 ori, 6 argenti, 7 bronzi) e per la montagna agli Europei di El Paso (5-5-3) e ai Mondiali in Thailandia (2-2-4), si consuma tra la storia e la natura del Parco La Mandria, a Venaria Reale, su un percorso che toglie il fiato, tanto per il fascino quanto per la durezza di salite e discese. Gli Europei di cross in versione Italia (quarta volta nel nostro Paese, come nessun altro) restituiscono un secondo posto nel medagliere che mancava da un’altra edizione casalinga (San Giorgio su Legnano 2006) ma soprattutto si nutrono della ‘garra’ degli staffettisti della mista (Arese, Del Buono, Bouih, Sabbatini) e dell’eleganza di sua maestà Nadia Battocletti, al quarto alloro della collezione, senza interruzioni. Un solo punto in più e sarebbe stata d’oro anche la squadra maschile (con Crippa quarto), argento pure per le ragazze U23 guidate da Nadia. Ma al di là dei risultati tecnici, è l’apprezzamento internazionale a decretare la riuscita dell’evento e a infondere sempre maggiore fiducia verso gli Europei della Capitale. Mancano poco più di 500 giorni, qualcuno in meno di quanti ne manchino ai Giochi di Parigi. E con una squadra così…

Nei prossimi giorni, le review della stagione azzurra giovanile e dei temi internazionali

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