Bikila: 50 anni fa l'oro di Tokyo
21 Ottobre 2014di Giorgio Cimbrico
E poi dicono che i giapponesi siano perfetti, organizzati, efficientissimi. Può darsi, ma cinquant’anni fa no di sicuro. Perché quando venne il momento di suonare l’inno dell’Etiopia, il maestro e la banda ammisero di non averlo in repertorio. E così, nell’imbarazzo che cresceva, decisero di suonare quello giapponese, grave e antico. Abebe Bikila, con il suo volto enigmatico, non espresse dispetto. Aveva vinto, era diventato il primo della storia a metter due volte mani e piedi sull’oro olimpico della maratona. La data è il 21 ottobre 1964, mezzo secolo. E a questo punto non rimane che partire con il flashback.
A Tokyo manca poco più di un anno: Abebe lo trascorre in parte a nord, nella calda zona della ribellione eritrea: una guerra interminabile, tra poveri, per conquistare montagne di pietre. Alle selezioni olimpiche vince in 2h16’, tempo mostruoso per il teatro di gara, i 2000 metri di Addis Abeba. E’ pronto per la sua seconda Olimpiade e la affronta a quaranta giorni da un’operazione di appendicite, ma lui sa trasformarla in esecuzione di Ron Clarke, l’australiano che sa sfornare record mondiali su tutte le distanze ma che nel confronto testa a testa ogni volta riceve in volto il boomerang che lo atterra.
Ron parte allegro e trova un compagno di avventura nell’irlandese Hogan. Ai 7km Abebe li raggiunge e inizia ad alzare il ritmo, Clarke si arrende al 20°, costretto a scalare di marcia. Alla boa, nel quartier di Chofu, Bikila è già solo, solo nella città uggiosa (i lividi fotogrammi inseriti da John Schlesinger in “Il Maratoneta” vengono da quei momenti, non dalle tenebre e dalle fiaccole romane), in mezzo ai mastodonti di cemento che vede per la prima volta. Non è più scalzo: la Puma gli ha offerto calzature e denaro per indossarle. La lungimiranza è una costante dell’azienda bavarese nata dallo scisma all’interno della famiglia Dassler: Puma sono anche le scarpe dorate di Usain Bolt. Sui primi guadagni degli atleti è interessante aprire una parentesi riempita dalla testimonianza, legata proprio ai Giochi di Tokyo, di Henry Carr, magnifico vincitore dei 200: “Veniva in albergo un rappresentante di un’azienda di scarpe, entrava nel bagno e dietro la tazza del cesso lasciava una busta. Se dentro c’erano 2000 dollari, ci sentivamo ricchi”. Chiusa la parentesi e avanti con Abebe.
La seconda vittoria è schiacciante: oltre quattro minuti sul britannico Basil Heartley che supera in pista l’esausto giapponese Tsuburaya, suicida tre anni dopo. Nelle prime edizioni dell’evo moderno si erano registrati distacchi più cospicui, ma il vantaggio di Abebe va a libro come quello più solidamente consistente di pari passo con un tempo, 2h12’11”, che rappresenta il nuovo record mondiale, realizzato nella gara più spinosa, non su un filante e comodo percorso o in un clima gradevole. Dopo l’arrivo continua a correre, a saltellare. “Ma non sei stanco? “, gli domanda uno dei primi cronisti che riesce a raggiungerlo. “Avrei potuto tirare avanti per altri dieci chilometri”. E’ più sicuro di sé, meno spaurito.
Diventa il primo della storia a offrire il bis (il secondo e ultimo sarà il tedesco est Waldemar Cierpinski, a Montreal ’76 e a Mosca ’80) e la prospettiva offerta da Città del Messico, 2200 metri dl altezza, non può che rendere agevole la rincorsa al tris, ma nella città non ancora assediata da uno smog micidiale Abebe è costretto ad arrendersi al 17° chilometro, limitato da un infortunio a una gamba nell’avvicinamento ai Giochi: davanti, l’andatura è scandita da un etiope più macilento di lui, Mamo Wolde, nuovo eroe nazionale prima di conoscere lunghi anni di carcere per presunte atrocità commesse durante il regime di Menghistu. “Ai Giochi di Monaco di Baviera avrò 40 anni, ma voglio provare ancora”, confessa Bikila abbandonando per un attimo la sua sfingesca impassibilità e offrendo quell’inglese stentato che ha assorbito sulle strade del mondo.
Non può sapere che il destino è in agguato dietro una curva, sulla strada che risale un amba: la Volswagen sbanda, finisce in una profonda scarpata, verrà ritrovata molte ore dopo da un contadino che va al lavoro. Dodici ore tra i rottami: la schiena di Abebe è spezzata. A Monaco andrà su una carrozzina, per gareggiare nel tiro con l’arco in quelle che oggi sono chiamate Paralimpiadi. Sul volto, un sorriso dolente. Il 25 ottobre 1973, a 41 anni per un’emorragia cerebrale, muore ed è scontato scrivere che ad ucciderlo sia stata la nostalgia della fatica. Quasi trent’anni dopo, Wolde verrà sepolto accanto a lui, nel cimitero di San Giuseppe di Addis Abeba.
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