Bordin, la leggenda del Re della strada
23 Giugno 2020Dal giorno 2 gennaio 1979 ho navigato in giro per il mondo per seguire le imprese di un giovanotto, a me allora quasi ignoto, che in quel di Latina fu terzo nel Cross dai Casali Pontini, una delle invenzioni dell’inarrestabile Elio Papponetti. Quel cursore che non aveva ancora compiuti i vent’anni era il bersagliere Gelindo Bordin in servizio di leva presso la Compagnia Atleti alla Cecchignola. Giunse alle spalle del fresco campione europeo Venanzio Ortis e di Giuseppe Gerbi, precedendo quotati avversari fra cui Arena e Zarcone. Chiesi sue notizie al CT Enzo Rossi che fu laconico: “Tienilo d'occhio, è uno che farà vedere i sorci verdi a tutti…”. Profezia avveratasi: un buon corridore di cross, e anche in pista, sarebbe diventato il “Re della Strada”. Debbo limitarmi a parlare del Bordin maratoneta, ricordando che sono stato testimone diretto delle sue migliori imprese, da Boston 1990 agli Europei 1986-1990 e privilegiando ovviamente il successo olimpico del 1988.
Non dimentichiamo Oscar Barletta
Gelindo Bordin decise di diventare un maratoneta a tempo pieno dopo aver partecipato alla prima edizione della Coppa del Mondo ad Hiroshima. In quella rassegna universale della maratona, in campo femminile la squadra italiana si classificò al primo posto (Fogli, Marchisio, Scaunich, Curatolo, Milana). Il responsabile era Oscar Barletta che dal 1970 aveva fondato la scuola italiana della maratona, affermatasi con una decina di successi in campo internazionale. Fu poi sostituito ed in quella gara di Hiroshima (14 aprile 1985) l’Italia in campo maschile si classificò quarta a squadre (Pizzolato sesto, Magnani nono e Bordin dodicesimo). “Durante il volo di ritorno - raccontò Gelindo - decisi che mi sarei interamente dedicato alla maratona. Allora ero un direttore dei lavori, otto ore al giorno, sovrintendendo fra l’altro a Verona alla costruzione della Chiesa di Via Valdonega, dell’Hotel Paluani e dello Stadio del Chievo nel vecchio campo parrocchiale di Bottagisio”. Cambia vita e si presenta a casa di Luciano Gigliotti. “Se lei mi vuole allenare io lascio tutto, mi dedico unicamente alla corsa con un solo obiettivo: diventare il miglior maratoneta del mondo”.
Il matrimonio con il Professor Fatica
Nasce così il matrimonio fra il “Professor Fatica” e il “Geometra della Fatica”. Bisogna però subito chiarire se Bordin sia (o sia stato) un geòmetra oppure un geomètra.
Il secondo è colui che “misura la terra” come dice padre Dante parlando nel Paradiso di Euclide; il primo è il professionista abilitato a progettare, costruire e dirigere lavori edili. Bordin dimostra nelle tante gare vittoriose di essere un vero “geomètra”. Si dimostra abilissimo nel calcolare il rapporto fra tempo trascorso e distanza percorsa e sceglie sempre il momento giusto per portare l’attacco. A Stoccarda aspetta l’ingresso in pista per piazzare la volata vincente; a Seul attende i due terzi di gara per innestare, con il mento proteso verso il basso, una progressiva accelerazione. Sarà micidiale per tutti eccetto che per lui. A Boston 1990 la situazione è ancora più difficile. È lui, l’Olimpionico, l’uomo da battere. Penso che sia divertente, per chi non la conosca, la cronaca di allora scritta in chiave musicale.
Una maratona a tempo di musica
Ai primi cinque chilometri l’andatura è allegro anche troppo (passaggio in 14:04; sei in fuga e Bordin a 5 secondi); al decimo chilometro si corre in presto, prestissimo in 28:44 e Gelindo a 18 secondi; a metà gara allegro con brio in un’ora, due minuti e un secondo, e l’azzurro distanziato di oltre 100 secondi. Tutto finito? No, infatti al chilometro 35 Gelindo Bordin con il suo largo maestoso è passato in testa transitando in 1h45:58. E sino al traguardo è ovviamente galoppo trionfale con Gelindo che corre solitario ma insieme a decine di ammiratori che sanno di essere al cospetto di uno “born to run”, nato per correre.
Detto qualcosa del “geomètra” passiamo ora al “geòmetra”. Prima cosa, si è affidato al progettista giusto cioè a Luciano Gigliotti (di lui dirò tutto nell’ultimo capitolo di queste storie, quello dedicato ai Maestri). Senza un ottimo ingegnere non si può realizzare un buon edificio. Bordin ha apprezzato il lavoro di gruppo che si svolgeva a Tirrenia. Senza il “gruppo”, nulla si può realizzare. Ha poi puntato sempre più in alto, esplorando i terreni più difficili. Ha inventato i sentieri più ardui sulle altitudini del Sestriere. Gli sembrava di essere uno sfaccendato perché si allenava solo qualche ora al giorno e non dodici, tredici come quando lavorava in cantiere.
Conclusione. Se il poeta Eugenio Montale affermava che sognava di essere un maratoneta, di Gelindo Bordin possiamo dire che la maratona la sognava anche quando era sveglio e la correva anche quando dormiva.
Non so se sia stato un eroe, ma so sicuramente che eroismo è fare bene, sempre, anche il lavoro più semplice. E lui lo ha sempre fatto e probabilmente amato.
GELINDO BORDIN
Nato a Longare (Vicenza) il 2 aprile 1959
Presenze in Nazionale: 18
Campione olimpico della maratona a Seul 1988
La scheda su fidal.it
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