Borotalco Golden Gala, il giorno dopo
Parlando di atletica, si può avere di meglio di una serata come quella dell’Olimpico? Praticamente impossibile. Tre mondiali stagionali, altrettanti sfiorati, un livello medio da fantascienza. Ma anche mezzofondo animato per la maggior parte da vere e proprie sfide, non solo da monologhi al seguito delle lepri, velocità esplosiva, e concorsi quasi tutti meravigliosi. L’oscar va a Jeremy Wariner, fantastico e sempre più destinato a succedere a Michael Johnson sul trono dei primatisti mondiali del giro di pista. Il suo 43.62 ha illuminato la serata, ancor più perché scaturito da un match vero, quello con l’astro nascente Xavier Carter. Per non parlare della straordinaria prova di potenza di Asafa Powell: solo con un motore come il suo si può arrivare a correre i 100 in 9.85 dopo quella partenza… Un grande Golden Gala, che, alla luce dei risultati conseguiti dai suoi partecipanti, può puntare ad un nuovo piazzamento di rilievo nella graduatoria IAAF dei meeting internazionali. Solo in un paio di gare (l’asta, e forse – ma perché siamo abituati male – i 110 ostacoli) il livello tecnico è stato leggermente inferiore. Per il resto, la riunione è stata davvero sontuosa. Andrew I, re di Roma La sua serie di salti (8,18; 8,30; 8,16; 8,09; 8,21; 8,41) fa paura. C’è ancora qualcuno non convinto delle qualità di questo ragazzo? Per l’ennesima volta Andrew ha messo a frutto il suo temperamento di grande agonista, migliorandosi di 12 centimentri (e fallendo il record di Evangelisti di soli due) soprattutto perché alla ricerca della vittoria. Howe voleva vincere, scatenare l’entusiasmo dello stadio. E all’ultimo dei sei salti è andato in pedana (come successo a Mosca, nei mondiali indoor) in cerca della misura-monstre, quella in grado di mandarlo in paradiso. Roba da fenomeni veri. Il ragazzo è cresciuto, è diventato un giovane campione, e con il tempo – e gli ovvi miglioramenti tecnici – diventerà un punto di riferimento dell’atletica internazionale. C’è da giurarci. Intanto, c'è da cogliere il primo fiore: magari sul prato di Goteborg. Volti (più o meno) nuovi Sheron Simpson (Giamaica, 100 metri), Irving Saladino (Panama, salto in lungo), Komen Kipchirchir (Kenya, 1500 metri), lo stesso Andrew Howe (un premo per chi indovina nazionalità e specialità). E lista potrebbe anche allungarsi. Al vertice dell’atletica mondiale si registra un certo movimento. I giovani leoni (o leonesse) cominciano a frequentare con una certa assiduità il vertice, portando una ventata d’aria fresca in molte specialità. Il ricambio si avverte. Il pubblico La fonte della seguente considerazione è straniera (inglese, per la precisione): “Non ci sono stati solo grandi risultati, ma anche una bella atmosfera allo stadio. Il pubblico era tanto, e partecipe: davvero una grande edizione del Golden Gala”. Non ci sono registrazioni, è ovvio, quindi bisogna fidarsi di chi scrive. Ma in effetti, il collega che ha pronunciato queste parole ha sintetizzato quello che in molti hanno pensato, venerdì sera. C’era tanta gente, allo stadio: la tribuna Monte Mario era piena, così come i Distinti Nord (il settore davanti all’asta); per non parlare della Tevere, calda (in tutti i sensi) e affollata malgrado le zone coperte dai graffiti colorati. E poi, una inattesa competenza collettiva: l’ooh di ammirazione per il lancio oltre 90 metri del giavellottista Thorkildsen sintetizza il concetto. Da ricordare anche la rumorosa rappresentanza etiope, in festa per i successi di Bekele e della Dibaba, e il ritornello “mondiale” (il tormentone del po-po-po…) scatenato dal gran salto di Andrew Howe. Gli Italiani in gara: che dolori! Howe a parte, si può salvare Elisa Cusma, giunta al personale negli 800 metri con un buon 2:00.84. Tutti gli altri, chi più, chi meno, hanno deluso. In qualche caso anche preoccupato. Serataccia per Gibilisco, vero, ma anche per Di Martino, Pignata, Bobbato, Longo, Verdecchia, Collio, Giaconi, Obrist, La Mantia…Pur continuando ad ammettere che la preparazione sia tutta indirizzata agli Europei, e che dunque gli atleti siano ancora carichi di lavoro, certi risultati lasciano quantomeno perplessi. Anche perché a Goteborg, calendari alla mano, mancano tre settimane, non tre mesi. Basteranno per invertire la rotta? Parlare di campanelli d’allarme risulta ormai fuori luogo: queste sono vere e proprie sirene. Una bella gatta da pelare per Nicola Silvaggi, a poche ore dalla ufficializzazione della squadra che partirà per la Svezia. Ciao Fabrizio Il pubblico gli ha tributato la più classica delle “standing ovation”. Lui, Fabrizio Mori, il campione del mondo dei 400 metri ostacoli di Siviglia 1999 (ed anche argento a Edmonton 2001) ha scelto di chiudere nel principale meeting italiano la sua strepitosa carriera. Recordman di presenze in Coppa Europa, primatista italiano con 47.54, primo (e finora unico) azzurro al di sotto dei 48 secondi nella storia, il livornese è stato non solo un atleta straordinario, ma anche un simbolo di modestia e silente dedizione al lavoro. Ad accoglierlo, al termine del giro d’onore, due uomini importanti della nostra atletica: Gianni Gola, il presidente dei suoi trionfi, e Franco Arese, l’attuale numero uno della FIDAL. Entrambi, fianco a fianco, per salutarlo e ringraziarlo. In tribuna d’onore, il timoniere Roberto Frinolli. Grazie Fabrizio, il tuo sconvolgente finale di gara già ci manca. Marco Sicari Nelle due foto, Andrew Howe, e Jeremy Wariner (Giancarlo Colombo per Omega/FIDAL)
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