Bruxelles, i record e Mennea
04 Settembre 2014di Giorgio Cimbrico
Dal dolore per la scomparsa di un campione che aveva appena cominciato a offrirsi e dall’orrore di un nome – Heysel –, è sbocciata la bellezza del Memorial Ivo Van Damme, dedicato in eterno al doppio argento 800-1500 di Montreal ’76, dall’aspetto severo del capitano di ventura, spazzato via da un incidente sulla strada che porta a Orange, sud della Francia. Era il dicembre dell’anno della sua salita in scena e non aveva nemmeno 23 anni. L’omaggio a chi, grande, piegato solo da Alberto Juantorena e John Walker, sarebbe diventato grandissimo scattò da sé: Wilfried Meert, giornalista e promoter ne fu e ne è l’anima, il motore e l’impresario. Il teatro ora si chiama stadio Baldovino II e l’aspetto non è più quello desolato, scenario della strage lontana quasi trent’anni.
Palcoscenico per premières benedette dal record del mondo (il miglio di Sebastian Coe che chiuse l’epica sfida a distanza con Steve Ovett dell’estate ’81, i 5000 di Daniel Komen, i 10000, una tappa di progresso dopo l’altra, di Salah Hissou, di Paul Tergat e di Kenenisa Bekele, le siepi di Stephen Cherono, alias Saif Shaheen, i 110hs di Aries Merritt), per furibondi inseguimenti mancati per un soffio (24 agosto 2001: Hicham el Guerrouj 3’26”12, Bernard Lagat 3’26”34, in fondo alla gara che minacciò più di ogni altra il mirabile e imbattuto 3’26”00 dell’Olimpico), di lampi improvvisi e imprevisti (Yohan Blake detto la Bestia 19”26, all’inezia di sette centesimi dal tempo marziano di Usain Bolt, con Walter Dix secondo in 19”53), di regali volate (10”72 di Shelly Ann Fraser, 21”64 di Merlene Ottey), il MIVD compare anche nella vicenda terrena di Pietro Mennea.
Era il 22 agosto 1980 e da quel capolavoro del brivido concepito allo stadio Lenin, spandendo paura e gioia, erano passati 25 giorni. Nel frattempo Pietro aveva ripulito la mente da scorie nervose, aveva lucidato la condizione sino a renderla cromata. Il Golden Gala prima, il viaggio in Oriente subito dopo, si erano trasformati in un recital e in una tournée per un solo tenore, lui. In alcuni photofinish, compare solo la sua silhouette: gli altri, persi nel nulla. Mai frequentatore assiduo di queste soirées, Pietro decise che il palcoscenico della capitale d’Europa poteva fare al caso suo ma ebbe in sorte una notte carogna, con pioggerella e temperatura autunnale. Ma l’uomo che aveva saputo dominare i suoi tremori, sconfiggere le sue insicurezze, regalare una caccia proficua alla maxi-volpe scozzese, non poteva esser fermato da quisquilie metereologiche e arricchì la collezione con un 20”05 che molti ritennero mirabile per come, dove e dopo quali fatiche era stato ottenuto. Fu in quel periodo che al professor Carlo Vittori balenò in mente la chance di tornare a Città del Messico per dare una lieve strapazzata al 19”72 che stava per compiere un anno di vita: “Valeva tra i 19”50 e i 19”60”. Pietro declinò. La gioia per l’oro di Mosca e per la catena di successi che aveva saldato in quelle settimane era sufficiente.
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