Caironi: ''La forza è la volontà''

05 Novembre 2015

La campionessa paralimpica si racconta dopo le medaglie iridate di Doha dove ha vinto l'oro con record mondiale nei 100 metri e l'argento nel salto in lungo 

di Luca Cassai

“Ognuno può arrivare dove vuole, con le proprie forze e la propria testa, se non si arrende di fronte ai primi ostacoli”. Parola di Martina Caironi, l’atleta paralimpica italiana che quest’anno ha riscritto più volte tutti i record mondiali delle sue specialità. E non si accontenta di ciò che ha conquistato, in una carriera già ricca di successi. Sempre sul gradino più alto dei 100 metri nelle ultime quattro stagioni, dai Giochi di Londra agli Europei di Swansea, attraverso due Mondiali: nel 2013 a Lione, quindi la conferma a Doha con il nuovo limite iridato di 14.61, per abbattere la barriera dei 15 secondi nella categoria T42 degli amputati sopra il ginocchio, preceduto dal 15.01 del turno eliminatorio. “Fin da piccola ero una sportiva - racconta - ho praticato nuoto e pattinaggio artistico, passando al volley. Al via di un nuovo campionato ho avuto l’incidente in motorino, a 18 anni nel 2007, quando frequentavo il quarto superiore”. E l’atletica? “Solo qualche gara scolastica. Poi mi sono ritrovata in un centro protesi, con al muro le fotografie di atleti disabili. Allora ho pensato che potevo farlo anch’io e da quel momento in tanti mi hanno aiutata. Nella prima gara ho realizzato subito un record. La motivazione ha fatto la sua parte, insieme alla spinta che ho ricevuto dall’esterno, perché era importante avere intorno persone che mi spiegavano il valore del risultato”. Un percorso tutt’altro che facile da intraprendere. “Praticamente nei primi due anni ho potuto solo camminare, e con fatica. In seguito mi hanno dato una protesi per correre, molto diversa dall’altra che utilizzo nella vita di tutti i giorni. È stata dura accettare l’impatto visivo, ciò nonostante questa sensazione mi ha dato anche l’impulso per affrontare le difficoltà”.

STAGIONE DA RECORD - A metà giugno la Caironi è stata protagonista agli Italian Open Championships, il meeting organizzato per il terzo anno consecutivo a Grosseto e valido come campionati italiani paralimpici assoluti, con il primato mondiale sui 200 metri in 32.29. Appena una settimana più tardi, si è migliorata di nuovo a Berlino correndo in 31.73, mentre la stagione era iniziata con la doppia impresa iridata di Nottwil, in Svizzera: 15.15 nei 100 e 32.32 sul mezzo giro, fino a essere proclamata atleta del mese di maggio da Ipc Athletics, il comitato paralimpico internazionale. Pochi giorni dopo, si è aggiunto un altro capitolo alla serie interminabile di record, sui 100 in 15.05 davanti al pubblico amico nel meeting di Nembro: infatti è bergamasca, anche se prima dell’oro alla Paralimpiade ha vissuto in Spagna per l’Erasmus (da studentessa di mediazione linguistica e culturale), a Milano e adesso a Bologna. Senza dimenticare il primato mondiale del lungo con 4,60 a L’Hospitalet de Llobregat, alle porte di Barcellona (superato a Doha dal 4,79 della tedesca Vanessa Low, venti centimetri in più rispetto all’argento dell’azzurra). “Cerco stimoli dappertutto - prosegue Martina - credo nell’importanza di fare cose nella vita. La curiosità è uno dei motori del mondo. Lo sport mi dà moltissimo, però ho bisogno anche di altro: viaggio, studio, vado ai concerti”. Meglio la pista o la pedana? “Per me la gara madre è quella dei 100 metri. Quando corro, ho subito voglia di rifarlo: è una sorta di dipendenza sana che mi toglie tutti i pensieri, corpo e mente si fondono per quei pochi secondi. Invece il lungo è una specialità più tecnica, oltre a dover mantenere la concentrazione per tanto tempo. Ma ogni gara per me è un’emozione”. 

OBIETTIVO 2016 - Due appuntamenti per l’anno che verrà: gli Europei in casa a Grosseto (10-16 giugno) e la Paralimpiade di Rio. “Con me porto un braccialetto brasiliano, che mi ricorda ogni volta quel traguardo. Prima ci sarà una grande manifestazione in Italia, l’occasione giusta per far conoscere la nostra realtà. Lo sport per disabili ha pari dignità, serve un allenamento costante se si vogliono raggiungere risultati. All’inizio vedevo la protesi come un impedimento, però le cose sono cambiate quando ho capito che al contrario era uno strumento. Come chi ha la carrozzina: è fortunato ad averla, altrimenti sarebbe costretto a rimanere fermo. So bene che non si può tornare indietro, ma se avessi ancora la gamba, non so se sarei diventata così aperta di carattere. La mia tragedia è diventata anche fonte di felicità”.

SEGUICI SU: Twitter: @atleticaitalia | Facebook: www.facebook.com/fidal.it



Condividi con
Seguici su: