Corsa in montagna storia azzurra

05 Settembre 2014

A 9 giorni dai Mondiali di Casette di Massa, la tradizione di una specialità che nel nostro Paese vanta una ricca collezione di successi internazionali

di Giovanni Viel

Italia, “culla della corsa in montagna mondiale”? Sì, la tradizione e la cultura atletica italiane sono state, più di altre, l’ambito dove il “correre in montagna” ha assunto, prima, dignità sportiva, quindi organizzazione e, poi, sviluppo guidando il movimento verso la sua crescita e diffusione internazionale. Se il contesto delle Olimpiadi di Pechino 2008 ha significato il conseguimento della certificazione finale del riconoscimento della disciplina, da parte della IAAF, è molto importante recuperare quello che è stato il percorso, non semplice, affrontato per giungere, dopo quasi trent’anni, a quella meta da sempre invocata. Un traguardo che ha rappresentato il coronamento di un lavoro all’interno del quale l’Italia è stata la Nazione che, più di tutte, si è impegnata e spesa perché ciò avvenisse, credendoci sempre, anche quando la realtà faceva pensare diversamente. Un lavoro lungo, certosino, spesso poco supportato e… mal sopportato perché ai più tutto ciò sembrava funzionale ad una leadership agonistica - quella azzurra - che, nei decenni, non è stata mai scalfita. Un grande lavoro portato avanti spesso in silenzio, comunque senza troppo clamore, trovando qua e là adesioni e collaborazioni per lo più da parte di realtà non di primaria valenza nel panorama dell’atletica mondiale.

Un lavoro durissimo avviato, non senza problemi, prima in casa, per fare comprendere, ancora negli anni Settanta, proprio alla FIDAL, il ruolo, anche strategico, che la disciplina avrebbe potuto avere per l’intero movimento atletico nazionale: ecco i primi Campionati italiani gestiti dalla Federazione, quindi, a Cagliari, alla fine di quel decennio, il riconoscimento formale nell’organizzazione atletica italiana, la prima Federazione nazionale a compiere questo passo, subito imitata da altre consorelle, in particolare delle nazioni dell’Arco alpino e britanniche. Sembrava fatto tutto, ma invece si era appena agli inizi. I primi “Incontri internazionali”, disputati quasi da clandestini: nella svizzera Vorgono come nella britannica Llamberis, per arrivare in terra bergamasca, a Leffe, dove seguirono altri eventi “ufficiali” che, passando anche tra le colline veronesi di San Giovanni Ilarione si sfociò, nel 1984, a Zogno, in quell’evento che servì per varare il “Comitato Internazionale della Corsa in Montagna”, un organismo mosso solo dal desiderio di arrivare, un giorno, dove si è arrivati, a Pechino, sei anni fa, dopo aver fatto proselitismo in giro per il mondo.

L’Italia è stata, in tutto, la Nazione di riferimento, perché assieme alla propria tradizione agonistica di vertice, seppe mettere a disposizione del movimento internazionale i suoi dirigenti, i suoi tecnici e la propria organizzazione. Personaggi come Angelo De Biasi e Giuliano Tosi sono stati più che dei “padri” per la specialità internazionale, sostenuti da una base convinta e dalle buone pratiche tecniche che Raimondo Balicco seppe porre come presupposti allo sviluppo della specialità. Scelte e filosofie decisive, quelle di allora, che ancora oggi resistono e si dimostrano essere davvero fondanti perchè hanno saputo ancorare ai binari della propria tradizione e cultura la corsa in montagna, che ha resistito, negli anni, alle nuove tendenze che potevano anche portare ad una deriva, tecnica prima di tutto, anche perché l’attesa innovazione, propositiva e gestionale, non si è mai concretizzata appieno.

Il segnale forte l’Italia lo diede nel 1985 e 1986, ospitando le prime due edizioni della Coppa del mondo, il massimo evento agonistico internazionale che, per numeri di partecipazione come nazioni, è l’immagine di una disciplina che, da tempo, dimostra di possedere margini di crescita complessivi ancora importanti. E poi ancora l’Italia è protagonista attiva nel varare i primi confronti internazionali giovanili e nel porre il germe che, subito, sbocciò nel Campionato Europeo individuale e nella Coppa Europa per nazionali: primo passo verso il riconoscimento definitivo compiuto, con forza, dall’Eaa, sotto la spinta anche di dirigenti italiani che seppero fare la loro parte in quel contesto come, prima, Elio Papponetti e, poi, Massimo Magnani. 

È l’Italia che, ancora, seppe farsi carico di ospitare eventi agonistici ed anche culturali per cercare la svolta. Indimenticabile, in tal senso, fu l’esperienza di Bardonecchia, ad inizio anni Novanta, dove Primo Nebiolo riconobbe, da presidente dell’atletica mondiale, il grande salto di qualità compiuto dalla disciplina e, da allora, ne divenne convinto patrocinatore. Dal 2009 la Coppa del mondo è diventata anche Campionato mondiale individuale. Ed a chi doveva spettare l’onore di inaugurare anche questa nuova pagina della storia della corsa in montagna? Naturalmente all’Italia: a Campodolcino, domenica 6 settembre, si è celebrato ufficialmente il 1° Campionato Mondiale individuale e la 25^ Coppa del mondo per nazioni, la sesta ospitata dall’Italia. 

Nel 2014 il mondo che corre in montagna si ritrova così, per l’ottava volta, sui monti italiani: dopo le prime due edizioni della manifestazione, ecco la Val di Susa nel 1992 ed Arta Terme nel 2001; ancora terra piemontese, Sauze d’Oulx (2004) poi Temù-Ponte di Legno (2012) ed ora Casette di Massa: spetta ora alla Toscana, dove la “scuola” locale ha regalato alla disciplina campioni che hanno fatto epoca, alimentare il “nuovo Rinascimento” per il settore.

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