Da Frigerio a Mennea: gli alfieri dell’atletica
22 Aprile 2024di Fausto Narducci
A 36 anni di distanza da Mennea a Seul ’88, Gianmarco Tamberi sarà il settimo azzurro dell’atletica a rivestire il ruolo di portabandiera olimpica. Grazie ad Arianna Errigo la scherma con otto portabandiera resta la disciplina più rappresentata fra i 27 alfieri della storia dei Giochi Olimpici estivi. Ecco i precedenti dell’atletica.
Parigi 1924: Ugo Frigerio
Los Angeles 1932: Ugo Frigerio
La storia del primo portabandiera dell’atletica, il milanese Ugo Frigerio, si intreccia con quella tormentata della marcia olimpica che, fra proteste, squalifiche, casi di doping e polemiche di ogni tipo, vide le prove ridursi da due (3000 e 10.000) fra Anversa 1920 e Parigi 1924 e poi a essere del tutto esclusa ad Amsterdam 1928. In tutto questo, il pittoresco ex tipografo milanese della Gazzetta dello Sport che sapeva dominare, ma anche dare spettacolo per il pubblico durante le gare, fu l’autentico protagonista: due ori nel 1920 (3000 e 10.000) e tris nel 1924 (10.000) dove fu scelto per la prima volta come portabandiera. Ritiratosi per le polemiche che accompagnavano la sua specialità fece in tempo, alla soglia dei 31 anni, a ripresentarsi a Los Angeles ’32 dove fu ancora portabandiera e nella prova inaugurale dei 50 km alle Olimpiadi strappò coi denti il bronzo che lo costrinse a 15 giorni di degenza a letto per le piaghe ai piedi. Ma intanto aveva fatto la storia della marcia e anche dell’Olimpiade: solo lui ed Edoardo Mangiarotti (oltre a Gustavo Thoeni e Paul Hildgartner nei Giochi Invernali) hanno avuto il doppio onore olimpico.
Monaco 1972: Abdon Pamich
Abdon Pamich, bronzo a Roma ’60 e olimpionico nel ’64 a Tokyo, disputò a Monaco ’72 la sua quinta Olimpiade dopo il ritiro di Messico ’68. Per sua stessa ammissione il ruolo di portabandiera fu una lieta sorpresa e un grande onore in quella cerimonia del 26 agosto nello stadio olimpico non ancora macchiato dalle vittime della strage terroristica di Settembre Nero. Il nostro portabandiera fece appena in tempo a disputare la sua gara, il 3 settembre, prima che la città olimpica piombasse nell’incubo ma la 50 km si concluse con la prima squalifica ad alto livello di tutta la sua carriera. Dopo la gara ci sarebbe stato altro a cui pensare. Pamich si sarebbe ritirato l’anno dopo a 40 anni.
Los Angeles 1984: Sara Simeoni
Proprio nel 1984 Sara Simeoni, olimpionica in carica e reduce dalla contrattura al polpaccio sinistro che l’aveva bloccata ai Mondiali di Helsinki ’83, visse l’anno più difficile. Tormentata da dolore ai tendini, la scelta di lasciare dopo 10 anni la Scuola di Formia per trasferirsi tra i vigneti della sua Rivoli si rivelò vincente. Rimessasi in extremis, la regina del salto in alto partì per Los Angeles senza grandi ambizioni (ma confortata dall’1,90 ottenuto a Formia il 30 giugno) come se si trattasse di un viaggio premio. Non solo con tanti dubbi sulla sua possibile tenuta in gara ma anche con l’incognita del ruolo di portabandiera che sarebbe stato svelato sul luogo pochi giorni prima della cerimonia d’apertura secondo le consuetudini del Coni di allora. Quattro anni prima a Mosca non si era posto il problema visto che l’Italia aveva marciato dietro al vessillo olimpico tenuto da un anonimo portabandiera sovietico. A Los Angeles era favorito il pallanuotista Gianni De Magistris, alla quinta Olimpiade, ma erano candidati anche Daniele Masala (pentathlon), Graziano Mancinelli (equitazione) e Mennea e Simeoni per l’atletica. Fu durante la cerimonia dell’alzabandiera davanti alla residenza della delegazione italiana che il Coni annunciò la sua scelta. Per la prima volta sarebbe toccato a una donna: Sara Simeoni, alla sua quarta Olimpiade.
Un forte segnale di emancipazione che l’ex primatista mondiale accolse con orgoglio: per lo sport italiano femminile sempre in minoranza alle Olimpiadi, non poteva esserci rappresentante migliore. Come racconta nel libro biografico scritto con Marco Franzelli, “Una Vita in alto”, durante la spettacolare sfilata al Memorial Coliseum del 28 luglio, Sara si commosse fino alle lacrime. Poi sappiamo come andò in gara. Guarita in extremis da una terapia d’urto non solo superò le qualificazioni fissate a 1,90 ma in finale ottenne l’argento con 2,00 al primo salto dietro la rediviva tedesca ovest Ulrike Meyfarth. Si sarebbe ritirata due anni dopo a 33 anni.
Londra 1948: Giovanni Rocca
Ma la storia più curiosa legata ai portabandiera olimpici dell’atletica è senz’altro quella di Giovanni Rocca ricostruita per la Gazzetta dello Sport da Edgardo Signati alla vigilia dell’Olimpiade di Londra 2012 e un anno prima della scomparsa dell’azzurro avvenuta l’11 agosto 2013. Rocambolesca la scelta del quattrocentista milanese che avrebbe concluso la carriera con un personale di 48”4 (1952) e nel 1948, a 19 anni, non aveva risultati di particolare rilievo. In realtà, a quell’Olimpiade Rocca non doveva neanche partecipare e fu convocato con una telefonata al bar per partire per Londra come riserva dell’infortunato Luciano Noferini. In un test a Perugia batté però Baldassarre Porto e conquistò il posto nella 4x400 dove l’Italia ambiva alla medaglia e per questo aveva rinunciato a schierare individualisti nei 400. Punta della staffetta era nientemeno che Ottavio Missoni che fu sesto nei 400 ostacoli e sarebbe diventato un famoso stilista. Ma non era finita qui perché secondo la prassi il ruolo di portabandiera doveva andare al più giovane della spedizione, il pistard piemontese trapiantato in Venezuela Mario Ghella (che poi vinse l’oro nella velocità) ma poi il Coni decise di puntare sull’atletica e toccò a Rocca che aveva solo 10 giorni più del ciclista. Per portare la bandiera in quel 29 luglio 1948 il giovane milanese dovette superare lo scoglio della mancanza del passaporto e del fatto che non aveva dimestichezza col passo militare (richiesto alla cerimonia d’apertura) non avendo fatto ancora il soldato. “Tutte le notti prima di dormire - raccontò Rocca - penso a quel giorno: i reali britannici che si tolgono il cappello al nostro passaggio, la stretta di mano col principe Filippo e il discorso di Giorgio IV che non finiva mai perché era balbuziente”.
Per Rocca non andò altrettanto bene invece in pista. Dopo la facile qualificazione col secondo posto dietro gli Usa in batteria (3’14”0), alla finale del 7 agosto l’Italia (che schierava anche Missoni, Paterlini e Siddi) fu appiedata proprio da Rocca che in prima frazione, dopo 150 metri, si strappò e cadde meritandosi il rimprovero proprio di Missoni: “Sei un mona”. Per l’oro era in palio un milione a testa e il titolo andò agli Stati Uniti. Ai Giochi 1952 avremmo rivisto Rocca ancora senza fortuna: eliminato in batteria nei 400 e nella 4x400.
Seul 1988: Pietro Mennea
L’olimpionico e primatista mondiale dei 200 Pietro Mennea era fino a ieri l’ultimo portabandiera olimpico dell’atletica e nel 1988 fu al centro di un caso piuttosto complesso. Il pugliese alla fine del 1984, deluso dai risultati di Los Angeles, aveva annunciato il suo terzo ritiro dalle scene non senza polemiche. Ma la prospettiva della quinta Olimpiade, record assoluto per uno specialista dei 200 metri, lo portò al terzo ripensamento nell’estate ’87 proprio col sogno (legittimo) che in caso di qualificazione sarebbe toccato a lui il ruolo di portabandiera a Seul ’88. Le ottime basi lanciate, senza partecipare ai Mondiali di Roma, negli ultimi meeting della stagione ’87 non trovarono subito conferma nella lunga trasferta australiana dell’inverno ’87-’88 alla ricerca del minimo che fu centrato proprio alla fine della tournée, il 5 maggio, con il 20”87 di Canberra. A questo punto nessuno poteva avere dubbi che toccasse a Mennea - il numero uno non solo della storia dell’atletica ma forse di tutto lo sport italiano - portare il vessillo azzurro, a 36 anni, nella cerimonia d’apertura del 17 settembre allo stadio olimpico. In pratica l’ultima medaglia (sia pure simbolica) di una carriera senza eguali perché poi la quinta partecipazione olimpica si esaurì con il quarto posto in batteria (21”10) che valeva il ripescaggio ma il portabandiera azzurro rinunciò ai quarti per un risentimento muscolare. Il 26 settembre 1988 fu l’ultimo atto della sua prestigiosa carriera.
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