Di Martino: "Voglio ritrovare la gioia dei salti"



Antonietta Di Martino fa parte di quel - purtroppo - folto numero di atleti sui quali quest’anno l’atletica italiana non ha potuto contare, a causa di infortuni. La saltatrice in alto campana, che tanto aveva fatto sperare quando nel 2001 a Catania saltò 1,98, è rimasta quasi tutta la stagione in “panchina”: solo una prestazione per lei, peraltero condita da un buon 1,86, con una caviglia in pessime condizioni. Proprio quella caviglia di stacco, la sinistra, che l’ha costretta a una lunga sosta e poi, finalmente, a un’operazione condita dalla speranza di tornare come prima, anzi ancora più forte: “Il 6 settembre sono finita sotto i ferri, a Pavia. Il professor Benazzo che mi ha operata si è trovato di fronte ben tre legamenti da ricostruire, mi ha detto che non si capacitava di come avessi potuto tirare avanti fino ad allora. Avevamo cercato di mettere l'articolazione a posto tramite esercizi vari, un allenamento speciale, ma avevo sempre sofferto una certa mancanza di elasticità, il che mi portava a frequenti distorsioni. All’inizio si credeva che i legamenti ci fossero, che fossero semplicemente allungati, invece andavano proprio ricostruiti”. - A due mesi di distanza dall’operazione, qual è la situazione? - Sono stata ingessata un mese e mezzo, prima con un tutore normale, poi uno da carico. Ora sento di avere una caviglia nuova, è una sensazione bellissima. A dicembre credo già di poter correre. - Da quanto andava avanti questo problema? - Da un bel po’, ho sofferto anche quando saltavo 1,98, avevo dolore sotto al piede. Il mio medico disse che era un problema atavico, poi è peggiorato per colpa della vecchia scarpetta che avevo: ne avevo comprato un paio nuove, ma non mi sentivo a mio agio e preferivo continuare a usare le vecchie, col risultato che a Genova, quando a inizio marzo 2003 ho provato 1,99, ho sentito un dolore lancinante e il piede è uscito dalla scarpa. Peccato perché quel giorno mi sentivo benissimo, potevo andare oltre i due metri. - Senza di te e della Bevilacqua, il settore dell’alto femminile ha sofferto moltissimo. Come hai visto da fuori le tue compagne? - Premetto che l’anno olimpico è sempre speciale, mi è dispiaciuto non aver potuto provare ad essere ad Atene. Io dico che è stato un anno meno negativo di quanto si dica: di altiste brave ne abbiamo, è che devono credere di più nelle cose che fanno. La Meuti ha fatto 1,85, non è poco, è dell’83, può progredire, anche la Brambilla e la Lamera. Poi è tornata la Galeotti che ha avuto problemi alla schiena, la Visigalli ha fatto 1,89, insomma il movimento c’è. - Il problema è più tecnico o psicologico di fronte a misure come 1,90 o 1,95? - Io dico che è psicologico. Sono misure come le altre, solo che sono viste come autentici muri. Bisogna non pensarci, non stare lì a rimuginare sulle misure che si saltano, ma pensare a quello che si fa, al gesto tecnico unicamente. - Hai ritrovato l’ottimismo dopo l’operazione? - Sì, mi sento bene, sto ritrovando il piacere di muovere il piede, di camminare, spero presto di correre. Allenarsi sempre con il dolore toglie la carica, diventa un peso e non qualcosa di positivo. Manca chiaramente ancora il tono muscolare, ma è un’altra cosa, l’importante è andare avanti con molta calma. - Cosa ti proponi? - Mi basta tornare a saltare, voglio solo tornare ai miei livelli, poi si vedrà, Correre, salticchiare e saltare, un passo alla volta. Gabriele Gentili

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