Europei Belgrado: l'impresa di Morale
27 Febbraio 2017Il 14 settembre del 1962 l'ostacolista azzurro conquistava il titolo continentale con il record del mondo dei 400hs
di Giorgio Cimbrico
Belgrado, la Città Bianca, non ha mai ospitato un Europeo al coperto. O meglio, l’ha ospitato quando ancora esisteva la Jugoslavia e nella loro prima infanzia i Campionati continentali al coperto erano etichettati Giochi europei. Allora, per la quarta e ultima volta prima di conoscere un nuovo status, furono ospitati nella Hala i Beogradskog Sajma. Tra pochi giorni (3-5 marzo), in quella che è diventata la capitale della Serbia, le gare andranno in scena nella più spaziosa Kombank Arena.
L’edizione del ’69 merita una visita che soltanto quelli in possesso di documenti ormai strapazzati dal tempo e dall’uso potranno apprezzare a pieno: veniva ad appena quattro mesi, o poco più, dai colossali Giochi di Città del Messico, presentando alcuni dei protagonisti - o dei testimoni - di imprese memorabili, ancora freschissime malgrado sia passato quasi mezzo secolo. Sono i casi di Irena Szewinska, titoli nei 50 e nel lungo, e di Colette Besson, a segno nei 400, che saldarono i successi messicani, e di Klaus Beer, medaglia d’argento a Messico con il più cospicuo distacco della storia, 71 centimetri: Bob Beamon 8,90, lui 8,19. A Belgrado il tedesco est ebbe la meglio per un cm (7,77 a 7,76) sul gallese Lynn Davies, campione olimpico a Tokyo e, dopo il volo librato di Beamon, capace di coniare una frase memorabile: “Sarebbe bene andassimo tutti a casa”. Terzo, in quei giorni di marzo, finì lo spagnolo Antonio Blanquer di cui Paolo Rosi non mancava mai di rimarcare la professione: parrucchiere. I Giochi segnarono l’esordio di un ventenne Valeri Borzov sul palcoscenico internazionale: secondo nei 50, bruciato dal polacco Zenon Nowosz. L’ucraino (in realtà, galiziano) avrebbe infilato a partire dal 1970 una serie di 6 eurovittorie, su 50 e 60, che si sarebbe prolungata sino al 1977.
L’Italia, che avrebbe avuto soltanto un anno dopo un’organica rassegna tricolore indoor, a Genova, non figura nel medagliere. Le tre precedenti edizioni, a Dortmund, Praga e Madrid, erano state scandite dallo Slam di Eddy Ottoz, dal titolo di Pasquale Giannattasio nei 50 e dal secondo posto nella staffetta svedese formata da Bruno Bianchi, Ito Giani, Sergio Ottolina e Sergio Bello.
Ma gli azzurri che andranno a Belgrado, armati di buone o forti ambizioni, possono contare su un luogo che all’atletica italiana ha concesso uno dei suoi giorni di tuono e sun un nome che può riempire il cuore di fiducia il 14 settembre 1962, allo stadio del Partizan, Salvatore Morale detto Tito, padovano con radici siciliane, conquistò il titolo europeo con un margine memorabile (un secondo e un decimo sul tedesco ovest Jorg Neumann) eguagliando in 49”2 il record del mondo di Glenn Davis, campione olimpico due anni prima a Roma. Nel 1964 Tito sarebbe salito sul podio olimpico, terzo alle spalle di Rex Cawley e di John Cooper che con i “capitani coraggiosi” britannici avrebbe insidiato agli Usa l’oro nella 4x400 sino a spingere gli americani a un nuovo record del mondo per avere la meglio.
La spedizione azzurra nella federazione creata da Josip Broz, più noto come Tito,ebbe altri momenti lieti con la vittoria del fiumano Abdon Pamich nella 50 km (con distacchi da dura tappa dolomitica: 5’ sul sovietico Panickin e 10’ sul britannico Thompson), con il secondo posto nei 110hs del pescarese Giovanni Cornacchia e con il terzo sui 200 del milanese Sergio Ottolina.
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