Europei di cross, la giornata no degli azzurri
Il piatto piange, non c\'è che dire. Il cross azzurro non è uscito fuori bene dall\'Europeo di Edimburgo, per l\'ennesima volta senza medaglie (due bronzini eravamo riusciti a portarli via, negli ultimi due anni, grazie a Scaini e alla squadra Junior maschile) e con una impressione generale di netta mediocrità. Ora, a bocce ferme, bisogna cercare di capire cosa è accaduto, e soprattutto perché. Certo, come sempre accade in atletica (dove difficilmente può essere tutto bianco o tutto nero), si è visto anche qualcosa di buono. Ma la valutazione complessiva, in una sorta di bilancio agonistico della manifestazione, sposta la spedizione azzurra - senza possibilità d\'appello - ampiamente nella colonna delle passività. Le cose buone, si diceva: ecco, meglio cominciare da lì, prima di affrontare i dolori di pancia. La squadra maschile, ad esempio, pur con le dovute eccezioni (leggi l\'anonimo Battocletti), va decisamente elogiata. La medaglia è sfumata solo per sfortuna, considerato che il diciassettesimo posto (presagio numerico...) di Michele Gamba, frutto di una gara corsa quasi interamente senza una scarpa, vale a conti fatti almeno la nona piazza ottenuta dall\'eccellente Iron-man Umberto Pusterla. Considerato che i portoghesi sono finiti terzi per soli sei punti (piazzamenti) in meno rispetto ai nostri, ecco che Edimburgo finisce a ragione nella galleria della \"luna storta\" azzurra. Niente da dire, tutti i maschi hanno svolto il loro compito egregiamente, da Ruggero Pertile (scopertosi anche crossista di rilievo, oltre che maratoneta di sicuro affidamento) a Maurizio Leone, per finire con Gabriele De Nard, stoico ad affrontare l\'impegno continentale malgrado la scarsa preparazione (causata da una tendinite che lo affligge da oltre un mese). Il diavoletto ha finito per metterci la coda, privandoci di una medaglia probabilmente meritata sul campo, ed allungando la \"striscia\" di non-risultati che è stata smentita solo in una giornata storica, quella dell\'oro (mai più eguagliato) di Ferrara \'98. L\'alfiere di quella corsa fu Giuliano Battocletti, oggi irriconoscibile, per certi versi quasi assente in gara. L\'atleta ha classe, non è una novità (lo testimoniano le gare di Belfast e Ostenda, per citarne due iridate ), deve però ritrovarsi; il recente passaggio sotto la guida di Giorgio Rondelli potrebbe risultare decisivo in tal senso. Ma Battocletti deve aiutarsi soprattutto da sé. L\'altra nota lieta è venuta da Patrizia Tisi, unica delle ragazze a conquistare (nona) un piazzamento di rilievo, per di più in un contesto di valore davvero straordinario. La lombarda (uno dei pochi \"cavalli\" di razza del nostro mezzofondo) cresce, continua a lievitare in campo internazionale, e la convinzione che sta acquisendo con il passare del tempo potrebbe portarla lontano. Peccato abbia cominciato tardi a far sul serio: anche se non è bello dirlo di una signora, infatti, l\'anagrafe non l\'aiuta (ha compiuto 32 anni il 17 maggio scorso). C\'è però ancora del tempo davanti, in misura più che sufficiente per togliersi qualche soddisfazione. Anche in pista, dove la nostra non si è mai presentata con la giusta convinzione. I numeri ci sono. Le note amare cominciano dalle altre azzurre: non è solo una questione di piazzamenti, perché - malgrado in questo momento la superiorità sia netta - non è possibile che due come Weissteiner e Balsamo, atlete dal curriculum di tutto rispetto e preparate piuttosto bene, finiscano per prendere un minuto (più o meno) dalla Tisi. C\'è qualcosa che non va, probabilmente anche nell\'approccio mentale (troppo timido?) alla gara. Il discorso vale soprattutto per la giovane altoatesina, la cui crescita sembra - purtroppo - essersi stabilizzata da qualche tempo a questa parte. Anonima Michela Zanatta (anche se non è lecito attendersi di più da un\'atleta che correrà soprattutto i 1500 metri indoor quest\'inverno), davvero sotto tono Marzena Michalska, mai in gara, perlomeno nelle parti che contano. Giornata nera, infine, per Rosanna Martin, la più attesa tra le azzurre. Sulla sua storia sportiva, sui suoi ricorrenti problemi fisici, si è detto e scritto molto. Non era però mai accaduto che il \"corto circuito\" alla gamba, quello che non le consente di esprimersi sempre come potrebbe (e che le impedisce di correre in pista), le toccasse durante una manifestazione di questo rilievo. Sulle sue buone condizioni di forma, del resto, ci sono pochi dubbi, considerato che aveva battuto la Tisi nel cross di Roncone di fine novembre. Probabilmente, il suo blackout - insieme alla scarpa di Gamba - è il segnale di una giornata nata sotto una cattiva stella. Il settimo posto di squadra in realtà è anche migliore del piazzamento 2002 (ottavo posto), ma la sensazione che tutto il possibile non sia stato fatto, rimane anche dopo questo confronto statistico. Ed anche dopo aver detto che, nella storia della manifestazione, le ragazze non sono mai arrivate meglio che quinte. Si poteva fare di più. Ma le note peggiori, quelle più preoccupanti, sono venute dalle due gare Junior. In entrambe le prove, le squadre azzurre si sono piazzate all\'undicesimo posto. Dato terrificante soprattutto per i maschi, che venivano dal podio (terzi) di Pola dello scorso anno. Di quella squadra è rimasto il solo Cugusi, l\'unico capace a Edimburgo di difendersi (coraggioso ad andare anche in testa, nella parte centrale). La gara è stata straordinaria, è vero (Paula Radcliffe, sullo stesso percorso, avrebbe preso 1\'12\" dai terribili gemelli Rybakov...), ma la sparizione delle maglie italiane dalla classifica è davvero sconcertante. Sappiamo che spesso i risultati giovanili sono bugiardi, che grandi atleti, di quelli che hanno fatto la storia del nostro sport non erano granché in età giovanile. Ma questo, purtroppo, è stato sempre meno vero per il mezzofondo, dove i valori emergono sempre abbastanza presto. La verità, probabilmente, è che con questa nidiata di atleti (classi 1984-1985), siamo indietro rispetto a più di mezza Europa. Con la speranza che questo verdetto sia completamente infondato. Con le ragazze, speravamo davvero in qualcosa di meglio. Si attendeva soprattutto una inversione di tendenza a squadre (nella storia, mai meglio che ottavi, lo scorso anno tredicesimi), grazie anche all\'apporto di Silvia La Barbera, la campionessa europea dei 5000 di Tampere. E invece, a tradire le attese è stata proprio la sicilianina di Altofonte, vittima di dolori alla schiena che l\'hanno costretta al ritiro. Ad ogni modo, agli osservatori è sembrato che la condotta di gara della ragazza, fino al ritiro (e dolori a parte) non sia stata proprio esemplare: ad una partenza non eccellente, infatti, ha fatto seguito un lungo, dispendiosissimo sprint alla ricerca delle posizioni di testa, culminato - mentre le altre avevano chiuso il gas da un bel pezzo, e si guardavano l\'una con l\'altra in attesa di dar fuoco alle polveri - poco prima del kick decisivo della lettone Polushina. Arrivato, purtroppo, proprio nel momento - fisico e psicologico - peggiore per l\'azzurra. Poi i dolori alla schiena, successivi all\'allungamento del treno di testa (con l\'azzurra che viaggiava intorno al decimo posto), e lo stop. Intendiamoci: Silvia La Barbera è il miglior talento espresso dal mezzofondo femminile italiano da almeno una decina d\'anni a questa parte, ed ha i numeri per fare grandi cose (probabilmente più in pista che nei cross). Ma va anche ribadito che, sempre dolori alla schiena a parte, non ha interpretato la gara nel migliore dei modi, finendo nel peggiore: il ritiro. Perché? Diciamo: un cinquanta per cento per colpa della schiena, un trenta per colpa della condotta di gara, ed un venti per cento per colpa delle attese, probabilmente superiori alle sue reali possibilità in questa specialità. Sarebbe tutta colpa sua, se non avesse diciannove anni. Ma, invece, ha proprio - e per fortuna - diciannove anni, fatto questo che estende la necessità del mea culpa anche ad altri. La attendiamo ai Mondiali di cross, dove potrà certamente dare una mano alla squadra senior, disperatamente bisognosa dell\'apporto di talenti cristallini come il suo. In attesa di rivederla in pista, dove può ambire anche ad un posto in Coppa Europa, nei 5000 metri. Per il resto, discretamente ha fatto Barbara La Barbera, che ha mostrato in gara una grinta niente male. Ma resta il fatto che, dal trentasettesimo posto, la gemella di Silvia (la nostra migliore, alla fine) ha preso quasi un minuto e mezzo - su quattromilacinquecento metri di corsa - dalla vincitrice. Una ventina di secondi a chilometro, o giù di lì. Come dire, due gare diverse. Per il computo di squadra, l\'arrivo al traguardo di Silvia non avrebbe cambiato di tanto le cose. Ammesso che fosse poi riuscita a chiudere intorno al decimo posto, saremmo risaliti in classifica, al massimo, di un paio di posizioni (scavalcando il Belgio e forse la Turchia). Davvero troppo poco. m.s.
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