Europei, le carte italiane a Zurigo
10 Agosto 2014Tra poche ore, sarà già tempo di giudizi. Dopo la lunga attesa, l’Europeo di Zurigo - edizione numero 22 della rassegna continentale, a 80 anni esatti da Torino 1934 – darà la misura esatta ed inappellabile del valore della squadra azzurra. Ottantuno gli atleti chiamati dal DTO Massimo Magnani (48 uomini, 33 donne), un dato che, va detto in premessa, rientra nella fisiologia di un grande Paese come l’Italia, quando la scena da calcare è quella della “vecchia” Europa. E, soprattutto, quando il programma tecnico (a differenza di Helsinki 2012, prima edizione biennale nell’anno olimpico) include anche marcia e maratona. Tanti giovani, diversi esordienti, ma anche più di un “senatore”. Tutti con progetti, ambizioni, obiettivi, cuciti su misura. In linea generale, la richiesta dello staff tecnico agli atleti va posta, ancora una volta, sul piano della capacità prestativa, che è discorso diverso dalla competitività (parallelo, magari, ma diverso). In altre parole, Magnani chiede ai suoi uomini e alle sue donne in azzurro di esprimersi quanto più vicino possibile ai propri limiti, stagionali o personali, laddove ciò sia possibile (il mezzofondo, per fare un esempio, è un terreno dove ciò accadrà con inevitabile difficoltà). Se poi questo vorrà dire passare un turno, centrare l’ammissione alla finale, o addirittura salire sul podio, è un altro discorso (la competitività di cui sopra). Legato a tanti aspetti, il primo dei quali, vero e proprio “sale” dello sport, sta nello spessore degli avversari. Lo ha ripetuto anche il presidente federale Alfio Giomi: l’obiettivo è proprio quello di vedere accanto ai nomi degli atleti italiani tante sigle PB o SB (personal best, season best). Significherebbe aver centrato il giusto percorso di preparazione, ed aver affrontato la gara con determinazione, equilibrio, consapevolezza. Non un risultato da poco. Non un traguardo semplice da raggiungere.
Le punte
L’Italia gioca carte pesantissime in alcune prove. La prima, è senz’altro la maratona donne, dove, in un caso di abbondanza che ha pochi precedenti nell’atletica italiana, andranno in gara la campionessa europea in carica, Anna Incerti (oro tardivo a Barcellona 2010, annunciata in ottime condizioni di forma) e la vicecampionessa del mondo, Valeria Straneo; a loro, si aggiunge un’altra atleta segnalata sulla strada dell’efficienza, ovvero Nadia Ejjafini. Da questo tris, l’Italia può ragionevolmente tirar fuori una chance di medaglia, seppure in un contesto difficile (tante atlete ambiscono al colpo grosso), e su un percorso particolare, con una salita da corsa in montagna - da ripetere quattro volte - piazzata nel bel mezzo del circuito. Nello stadio, merita il ruolo di “punta” Libania Grenot, capolista stagionale europea nei 400 metri: il 50.55 corso agli Assoluti di Rovereto il 19 luglio, è ampiamente (oltre mezzo secondo) il miglior risultato del 2014. Nulla va però dato per scontato. Anzi. Troppo al di sotto delle proprie potenzialità, le russe, per essere quelle vere. Così come non va mai sottovalutata la grinta della britannica Christine Ohuruogu, una che non sbaglia mai le occasioni che contano. Dalla pedana del salto triplo potrebbe venir fuori un altro risultato da copertina per l’Italia. Non per nulla si affronteranno in pedana i due campioni continentali in carica, Fabrizio Donato (outdoor) e Daniele Greco (indoor), in un quadro che, seppure di livello assoluto, ha perso da tempo dominatori come il francese Tamgho. Attenzione però: le condizioni degli italiani, come arcinoto, non sono idilliache. In particolare quelle di Greco, vittima di uno stop precauzionale agli Assoluti di Rovereto (per dolori conseguenza di una peritendinite), e rimasto in forse fino ad appena due giorni fa. La maratona maschile, non fosse altro per la tradizione, va inserita in questo primo gruppo: Daniele Meucci, Andrea Lalli, e Ruggero Pertile sono i big di un’Italia che sta provando a ricostruire la gloriosa squadra che fu. Meucci è dato in condizioni eccellenti, ma è al primo impegno in una 42km di una manifestazione estiva, circostanza in cui l’esperienza pesa in maniera quasi sempre determinante; Pertile ha dalla sua la capacità di “leggere” la gara, ma forse non la stessa brillantezza del pisano. Vedremo. I maratoneti meritano la menzione, anche se un gradino al di sotto delle colleghe di specialità.
Per la finale
Il gruppo è ovviamente più folto del precedente. E da qui, potrebbero anche uscire uomini o donne in grado di centrare l’impresa ed avvicinarsi al podio. Matteo Galvan punta alla finale, traguardo per nulla scontato nella storia azzurra e sempre dal sapore particolare (l’ultima medaglia, l’argento di Marcello Fiasconaro, 1971). Con lui, tanti altri che proveranno l’ingresso tra gli otto; le marciatrici Eleonora Giorgi e Antonella Palmisano, l’altista Marco Fassinotti (in una gara da brividi, nell’anno dei 2,40 e oltre), forse l’astista Giuseppe Gibilisco. Per il duecentista Diego Marani (personale abbassato a 20.47 a Rovereto) e per l’ottocentista Giordano Benedetti (terzo in Coppa Europa a Braunschweig in giugno) sarebbe un’impresa, ma i due hanno dimostrato nel corso dell’anno di essere cresciuti di spessore (Marani) e maturati (Benedetti). Chiara Rosa, seppur dolorante ad una mano per un piccolo incidente d’allenamento, viene dal bronzo di Helsinki 2012, e può aspirare al piazzamento tra le otto. Yadisleidy Pedroso ha il sesto tempo dell’anno nei 400hs (55.42), specialità non particolarmente brillante nel corso dell’anno: anche lei, alla prima grande manifestazione estiva in azzurro, sogna l’accesso al turno per le medaglie.
Dal mezzofondo, soprattutto al femminile, possono arrivare risultati a sorpresa, anche con qualche chances di finale: Margherita Magnani, “nostra signora fighter” dei 1500 metri, è la più ambiziosa tra le azzurre (personale portato a 4:06.05 il 19 luglio a Heusden). Tra le staffette, ce n’è una in particolare che fa sognare: la 4x400 donne, anche in virtù dello stato di forma di Libania Grenot. I primi due turni della prova individuale aiuteranno a capire a cosa potrà ambire il nostro quartetto del miglio. La finale mondiale di Mosca (poi finita male, ma corsa benissimo), il piazzamento nelle World Relays di quest’anno: risultati che danno spessore al curriculum delle ragazze (in ordine sparso, Bazzoni, Spacca, Bonfanti, Chigbolu, Milani). A Barcellona, quattro anni fa, finirono ai piedi del podio, quarte. Non fosse ancora acciaccato (anzi, in ritardo di preparazione), meriterebbe l'ingresso nel gruppo anche Paolo Dal Molin, già d'argento nella rassegna continentale indoor del marzo 2013 (anche per lui, come Greco, infortunio rimediato agli Assoluti di Rovereto, dopo l'ottimo 13.47 della batteria). Da allora, purtroppo, solo dolori.
Carte pazze
In alcuni giochi, esiste la carta imprevista e imprevedibile; quella, altissima, in grado di scompaginare pronostici ed equilibri. L’esperienza insegna che in (quasi) ogni spedizione estiva, ne esce una: l’atleta che si rivela, che sboccia nel momento più importante. Centrando un “sonoro” primato personale, un piazzamento da finale, o addirittura, in qualche raro caso, una medaglia (Ivano Brugnetti nella 50km di Siviglia 1999, per ricordare un esempio recente e straordinariamente efficace, o prima di lui, sempre nella marcia, Michele Didoni a Goteborg 1995). Considerata l’alea, difficile dire in partenza a chi andrà il ruolo di carta “matta”. Ci vuole talento, determinazione, ma anche un pizzico di buona sorte. I primi due elementi non mancano a Federica Del Buono (tutti, a cominciare da lei, ignorano ancora cosa sia in grado di fare nei 1500 metri), o alla già citata Antonella Palmisano (una che viaggia a fari spenti da tempo ma che già in Coppa del Mondo ha saputo stupire). Magari invece toccherà al duecentista Eseosa Desalu, altro talento cristallino in maglia azzurra. Chi lo sa. Intanto, è bello sognare.
Un Europeo stellare
Sullo sfondo, l’Europa, che non è più quella di una volta (qualcuno dice per fortuna, e forse non sbaglia). Il dominio di un tempo ha lasciato spazio al desiderio di emergere degli altri quattro continenti. Una manifestazione, quella che assegna i titoli del vecchio continente, che tutto può dirsi tranne che in ribasso. Gli atleti europei, proprio perché il mondo è diventato un oceano troppo vasto, guardano alla rassegna continentale come rara occasione per riuscire a guadagnare onori e visibilità. Chi ritiene che a Zurigo andrà in scena un’Europa piccola, o dimessa, sbaglia. E di grosso. Mettersi in luce sarà un’impresa.
Marco Sicari
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