Figli d'arte
Non sempre i figli d’arte seguono in tutto e per tutto il terreno tracciato da papà campione o mamma campionessa: Jaanus Uudmae è il perfetto esempio di tradizione seguita passo dopo passo, salto dopo salto: hop, step and jump.
Indossando la maglia rossa dell’Unione Sovietica, il padre Jaak fornì una delle grandi sorprese delle Olimpiadi di Mosca ’80. Viktor Saneyev era atteso all’assalto della quadruplice corona (la sorte di eguagliare Al Oerter sarebbe toccata a Carl Lewis, sedici anni più tardi) e il brasiliano Joao de Oliveira poteva nutrire forti ambizioni da soddisfare in quella che, a quel tempo era considerata la terra dei rimbalzisti: dalla sua, una forma lucidissima e e il desiderio forte di emulare le gesta di Ademar Ferreira da Silva, due volte campione olimpico a Helsnki ’52 e Melbourne ’56, e di Nelson Prudencio, secondo nell’indimenticabile gara messicana quando il pianeta quasi proibito dei 17 metri venne invaso a più riprese. Quasi inutile – ma amaro – ricordare che un doppio record del mondo non permise a Giuseppe Gentile che la conquista della medaglia di bronzo.
De Oliveira fornì non meno di tre salti lunghissimi, nella zona dove la sabbia sta per esaurirsi, tutti nulli per un pelo: questa, almeno, fu la decisione dei giudici di casa. Saneyev non era più l’implacabile esecutore di dodici, otto e quattro anni prima e così il titolo, con 17,35, andò a questo 26enne estone proveniente dalla medioevale e anseatica Tallinn. Dopo aver superato il trauma dei fischi che gli piovvero addosso per aver sconfitto il nume georgiano, prima che l’anno finisse Jaak ebbe un altro paio di occasioni per festeggiare: prima il titolo di Sportivo dell’anno per l’Urss e poi la nascita di Jaanus, che vide la luce il 24 dicembre 1980.
Uudmae II si è spinto in qualificazione a 17,06, nuovo record personale ma non ancora primato di famiglia. In ogni caso, cifra importante in caso di compilazione di una combinata ottenuta assommando i risultati di padre e figlio.
Agli Euroindoor di Torino è presente un altro importante prodotto di campioni: Danny Ecker, entrato nel 2001 nel club dei seimetristi, è figlio oltre che di un forte canoista, Heidi Marie Rosendahl, la bella lunghista che affiancò al primato del mondo l’oro olimpico, conquistato a Monco di Baviera ’72 malgrado all’ultimo tentativo a disposizione la bulgara Yordanova portasse una serissima minaccia per ridurre il margine vincente di Heidi al più piccolo consentito, un centimetro. Danny, nato 31 ani fa a Leverkusen, atleta del Bayer, 2,00 di altezza, ha conosciuto la sua giornata di maggior gloria due anni fa a Bimingham con il titolo europeo indoor che sta per mettere in palio. In possesso di un primato all’aperto di 5,93, il virgulto è stato quarto ad Atene e sesto a Pechino.
Piccolo Bignami, sempre sul tema dei figli d’arte: Blanka Vlasic, figlia del decathelta Josko, oro ai Giochi del Mediterraneo ’83; Andrew Howe, figlio di Rene Felton, ostacolista americana di buono spessore; Falk Balzer ostacolista tedesco, figlio di Karin, gran specialista delle barriere nella trionfante Ddr; Gregory Sedoc, campione europeo nel 2007 e vicecampione a Torino nei 60hs, figlio del lunghista e ostacolista che detiene i primati del Surinam; Robert Koncellah, ora piùnoto come Youssef Saad Kamel, figlio del grande Billy, due volte campione del mondo degli 800. Per non dimenticare un certo Roberto Azzaro, salito a 2,12, undici centimetri più di mamma Sara ma ancora qualche centimetro distante da papà Erminio.
Giorgio Cimbrico*
(Giornalista del Secolo XIX di Genova)
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