Franco Arese, ottanta voglia di atletica
10 Aprile 2024di Fausto Narducci
Come si fa a non voler bene a Franco Arese. Come si fa a non provare innata simpatia per un uomo che trasuda umanità, che nel tempo mantiene i contatti con tutti, che ti abbraccia appena ti vede e ti avvolge con quella parlata bonaria da uomo cresciuto in campagna ma che ha scaldato - si immagina - le fredde tavolate delle riunioni imprenditoriali, forse è stata incrinata anche dalla rabbia per qualche affare andato male ma non ha mai tradito la natura profonda dell’ex atleta, ex presidente federale, imprenditore oggi come ieri: l’empatia con il prossimo. Per questo gli 80 anni che il campione europeo nei 1500 di Helsinki ’71 - perché questo rimane il suo titolo agonistico nobiliare - compirà sabato 13 aprile sarà la festa di tutta l’atletica italiana, senza nemici, senza passato e presente, senza ricordi brutti e amarezze, neanche sulla mancata finale olimpica che rimane l’unico cruccio di una carriera inimitabile. Basterebbe incontrarlo o fare una telefonata perché Franco, marito e papà felice, ti travolga con i suoi ricordi sempre puntuali, con aneddoti irresistibili, con richiami a personaggi che talvolta non ci sono più ma che porta immancabilmente nel cuore. Ma, per questioni di sintesi, proviamo a ricostruire noi questa carriera che, come un magma atletico, si è introdotta nella memoria anche dei più giovani che, in toto o in parte, non hanno avuto la fortuna di assistere in diretta a una delle più belle storie dell’atletica italiana. Una carriera che ha un perno centrale (1971), un prima e un dopo.
Il Grande Slam
I record italiani stabiliti da Franco Arese sono 19 più uno non omologato (nei 1500 a Schio). Quindici anni di attività in pista (dal ’61 al ’76) ma una stagione, una sola stagione, in cui succede quasi tutto. Quel 1971 che può considerarsi uno spartiacque fra due epoche dell’atletica italiana non soltanto nel mezzofondo. Innanzitutto, perché è nel 1971 che Franco Arese, già pluriprimatista italiano, porta a compimento il grande slam del mezzofondo con quattro dei cinque record italiani con cui assume lo scettro cronometrico di tutte le distanze ufficiali (siepi escluse, ovviamente) del mezzofondo in pista. Riassumiamoli: 1° maggio a Varsavia i 10.000 in 28’27”0 (45 minuti dopo che Pippo Cindolo aveva abbattuto per primo la barriera dei 29 minuti in 28’49”6); 20 maggio a Roma i 5000 in 13’40”0; 1° luglio a Milano i 1500 in 3’36”3 e 7 settembre a Berlino il miglio in 3’56”7. Quello degli 800 ritoccato per la terza volta il 26 giugno ’71 a Praga in 1’47”1 verrà definitivamente fissato a 1’46”6 nel ’72 a Rieti. Ma nel grande slam non può mancare il primato a cui forse Franco è più affezionato, corredato da una foto di gara in cui il compasso delle gambe testimonia il livello tecnico raggiunto dal mezzofondista piemontese: il 2’16”9 sui 1000 metri al Comunale di Torino nell’intervallo di Torino-Lazio (1-1) nella storica prima inclusione dell’atletica in una partita di calcio datata 11 ottobre 1970.
Le sfide con Liquori
Di questa sequenza merita un approfondimento l’emozione di quel primo luglio nella rimpianta Notturna di Milano in un’Arena gremita in cui ognuno dei 20.000 spettatori si portò a casa, simbolicamente, un cubetto del rubkor di una pista diventata magica ma dalla quale era difficile uscire indenni anche muscolarmente. Quel che più conta è che in quella notte, capace di riemergere puntualmente nei ricordi con le immagini fotografiche in bianco e nero, si consuma la terza leggendaria sfida fra Marty Liquori, il miler statunitense di origini avellinesi, e il piemontese già battuto nel ’69 a Stoccarda (con tanto di record italiano in 3’37”6) e vincitore nel ’70 proprio alla Notturna (3’39”1). Ma è la “bella” a fare storia proprio nel giorno dell’esordio italiano di “March” Fiasconaro: passaggio ai 1200 incollati in 2’56” e vittoria in volata dell’oriundo imbattuto per tutta la stagione (3’36”0) con l’azzurro che demolisce per la sesta volta il record della specialità con il 3’36”3 che rimarrà imbattuto fino all’avvento di Fontanella nell’81. Per la cronaca Arese pareggerà nella stessa stagione il conto con Liquori a Siena ma questa è un’altra storia.
L’oro di Helsinki
Ci vorrebbe un libro per raccontare l’epopea di quel ferragosto finlandese preparato macinando chilometri (anche tre volte al giorno), fino a 200 a settimana, nella pineta di Formia. L’oro di Arese apice di un Europeo senza altre vittorie azzurre se non la beffa d’argento di Fiasconaro nei 400. Anche chi non era appassionato di atletica ricorda tutto di quell’estate davanti agli schermi in bianco e nero prima dell’avvento sperimentale del colore a Monaco ’72. Qualcuno ricorderà anche l’impronunciabile nome di Szordykowski, polacco da battere a Helsinki per la sua vocazione alle volate. Ma il nostro Franco lo imprigionò con la tattica giusta alleandosi col britannico Brendan Foster che lo portò in carrozza (si fa per dire) ai 400 finali.
Di fronte alla progressione del nostro niente da fare per il polacco, risalito dal quarto posto all’argento, e bronzo di consolazione anche per l’alleato britannico. Tempo non proprio da gara tattica per il vincitore (3’38”43) e apoteosi indescrivibile con la fatica arrivata fino alla proverbiale barbetta.
Un passo indietro
Ma come furono gli inizi del cuneese di Centallo cresciuto in una famiglia contadina che imparò presto, grazie al primo tecnico Carlo Olivero, a piegare quelle gambe ricurve alla logica della fatica atletica anziché della zappa? L’esordio in pista è datato 1961 con un terzo posto nei 1500 a Mondovì in 4’23”. Nel ’64 la prima vera svolta con l’addio alla maglia dell’Atletica Cuneo e il trasferimento a Varedo in Lombardia per correre con la Lilion Snia alla corte di Franco Bettella che col suo spirito pazzo e la sua barba biblica lo portò dai tre allenamenti settimanali alle sedute quotidiane sulle orme di... Emil Zatopek. Un maestro di atletica ma anche di vita. È del 20 settembre 1964 la prima maglia azzurra nel triangolare con Svezia e Norvegia a Roma sui 1500. Stagioni in chiaroscuro: cinque record italiani dei 1500 in 4 anni (dal ’66 al ’69) e la vittoria nei 1500 in semifinale di Coppa Europa a Ostrava nel ’67 ma anche le eliminazioni precoci agli Europei di Budapest ’66 e alla prima Olimpiade di Messico ’68 (eliminato in semifinale nei 1500). Ma la crescita tecnica di Arese nelle nuove società Centro Sportivo Fiat e Atletica Balangero ha anche altri due nomi: nel ’66 Marcello Pagani quando rientrò in Piemonte al Fiat Torino e nel ’67 Tino Bianco detto “Blanche” l’amico ancora in attività che grazie all’identità di spirito e di dialetto trovò la chiave giusta per il lancio definitivo. Lavorando sodo nei raduni di Viareggio e Formia, Arese sembrava avviato alla prima medaglia agli Europei di Atene ’69 ma fu tradito dall’emozione: allo stadio Karaiskakis l’ottavo posto in finale con 3’42”2 bruciò di delusione anche per la vittoria dell’inglese Whetton che l’azzurro aveva battuto due settimane prima a Verona. Ma “Blanche” sapeva come medicare le ferite, soprattutto con i raduni in Finlandia che nei 1500 lo portarono nel ’70 alla seconda vittoria in coppa Europa a Stoccolma (3’42”3) e all’oro nelle Universiadi di Torino in 3’52”7.
Un passo avanti
Solo il passaggio alla maratona avrebbe dato ad Arese gli stimoli dopo quell’oro di Helsinki così appagante. A parte l’argento ai Giochi del Mediterraneo di Smirne in quello stesso anno, resta il rammarico della seconda Olimpiade fallita a Monaco ’72 con settimo posto in semifinale a guardare Pekka Vasala (da lui sempre battuto) che si qualificava e poi andava a prendersi un oro impensabile alla vigilia. Ma intanto all’orizzonte era apparsa appunto la maratona scoperta in quel 31 dicembre 1971 con la “San Silvestro” di Roma passata alla storia proprio per la sua presenza e quella di Paola Pigni, la prima donna a correrla in Italia. Vi rimandiamo al racconto che ne ha fatto Franco Fava nella biografia Divieto di Sosta narrata a sei mani insieme a Gianni Romeo e Fabio Monti per le edizioni Correre nel 2017. Qui basta ricordare che, presentandosi a sorpresa al via dell’Acquacetosa, il fresco campione europeo dei 1500 vinse in 2h24’28” senza pagare la fatica e neanche gli errori del percorso. Un tempone visto che il secondo Francesco De Menego arrivò a distanza di 6 minuti e lo stesso Fava si ritirò. “La gara che mi ha appagato di più, forse ho sbagliato a provarla così presto” avrebbe confessato il piemontese che, passato nel ’72 all’Alco Rieti, avrebbe chiuso la carriera a 32 anni il 2 giugno ’76 con un ultimo 1500 in 3’48”5 al Comunale di Torino dopo la drammatica rottura del tendine d’Achille nel ’74 da cui non si è mai ripreso.
Fuori dalla pista
Ma fuori dall’agonismo il successo è stato ancora maggiore: da Asics Italia, fondata insieme al fratello nell’82 e condotta fino al 2013, alla presidenza della FIDAL tenuta (dopo la parentesi alla FIDAL Piemonte) per due mandati dal 2004 al 2012 fino all’acquisizione dell’azienda finlandese Karhu che rappresenta la sua ultima scommessa. Sposato con Vera, Franco ha tre figli (Emanuele, Edoardo ed Enrico) ma la sua seconda famiglia rimane l’atletica che non rinuncia mai a seguire nelle grandi manifestazioni. Potremmo intitolare la sua vita “Ottanta voglia di atletica” giusto per parafrasare il celebre album pubblicato da Roberto Murolo alla sua stessa età.
Sabato 13 aprile si festeggiano gli 80 anni di Franco Arese con una cerimonia al mattino nella sala consiliare del Comune di Cuneo. Prevista la partecipazione del presidente FIDAL Stefano Mei e della presidente FIDAL Piemonte Clelia Zola, dei campioni olimpici Livio Berruti e Maurizio Damilano, alla presenza della sindaca Patrizia Manassero e dell’assessore allo sport Valter Fantino.
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