Gelsomini campione partigiano
25 Aprile 2014di Giorgio Cimbrico
C’è un momento in cui Manlio Gelsomini si trova faccia a faccia con un ritratto di Eric Liddell ed è l’estate del 1931 a Stamford Bridge, dopo Inghilterra-Italia. “Dov’è Liddell?”, chiede uno degli azzurri. “In Cina, è missionario”, gli rispondono. Per entrambi il futuro sarà un martirio: per lo scozzese,in un campo di concentramento giapponese, devastato dalla malattia e spossato dalla denutrizione; per il velocista romano, settant’anni fa, alle Fosse Ardeatine.
“Manlio Gelsomini campione partigiano” è il titolo del libro di Valerio Piccioni, giornalista della Gazzetta dello Sport e, come si dice molto banalmente in questi casi, innamorato dell’atletica, dei suoi eroi grandi e piccoli, dei suoi ardimenti, delle sue sconfitte, della sua dimensione che può essere assoluta, un sentimento responsabile che finisce per obbligare a una ricerca in profondità, nei meandri della storia, delle storie, usando lo strumento dell’analisi, sino a condurre a un percorso narrativo fatto di flashback e di spinte improvvise verso un presente sempre più breve, per ottenere una struttura che sembra una sceneggiatura già bell’e pronta. Con l’augurio – sincero e affettuoso – che nessun signore della fiction metta le grinfie su queste 174 pagine delle edizioni del GruppoAbele.
Il breve fiume della vita di Gelsomini (poco più di 36 anni quando finì in quelle cave alle porte di Roma che che si trasformarono in mattatoio) ha una corrente veloce come le distanze che amava, come i tratti di prato che divorò nelle sue brevi incursioni nel rugby (ecco un altro aspetto che può avvicinarlo a Liddell) come la decisione che trasforma un giovane cresciuto nel ventennio in un uomo che, nel momento più buio, sceglie la luce per finire di lì a poco nelle tenebre.
Piccioni lo ha strappato da quella dimensione, ha restituito al nostro ricordo e alla nostra commozione la figura dello studente di medicina che si allenava alla Farnesina, i suoi successi, il suo inseguimento a un’Olimpiade (Los Angeles) che non ebbe in sorte, la riflessione sul mondo che lo circondava, la scelta finale in una Roma livida, popolata di spie e di coraggiosi, di carnefici e di vittime.
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