Il destino sprint di Houston McTear

03 Novembre 2015

Il ricordo dello sfortunato velocista statunitense, ex recordman mondiale dei 60 metri indoor, scomparso nei giorni scorsi   

di Giorgio Cimbrico

Si dice che c’è chi nasca sotto una buona stella: non è stato il caso di Houston McTear che se n’è andato due giorni fa, a 58 anni, per un cancro ai polmoni e che dalla vita aveva avuto solo trappole. Aveva provato ad evitarle sparandosi fuori dai blocchi, con quella sua partenza fulminea, ma le fughe dalla dimensione del dolore, della sfortuna sono state sempre brevi come le distanze che prediligeva. La sorte sa essere più veloce di Carl Lewis e di Usain Bolt, quando vuole accanirsi.

Nasce povero, a Okaloosa County, Florida, e strappa il primo raggio di luce a 18 anni: a Winter Park, campionati statali delle high school del 1975, corre le 100 yards in 9”0, uguagliando il record mondiale (manuale) di Ivory Crockett. A 9“1 si erano fermati Bob Hayes, Harry Jerome, Jim Hines, Charlie Greene, John Carlos e Steve Williams e ogni commento è superfluo. L’anno dopo, ancora junior, è secondo ai Trials olimpici in 10”16 ma una lesione al tendine d’Achille lo taglia fuori dal viaggio verso Montreal. Al suo posto Johnny Jones che sarà sesto in una delle più ingloriose finali per lo sprint Usa: primo Hasely Crawford di Trinidad, secondo Don Quarrie giamaicano, terzo Valeri Borzov sovietico. Harvey Glance, fiero rivale di Houston, è quarto in 10”19 e il rammarico sfocia in rabbia.

Entra in un gruppo dal nome “rivoluzionario”, Muhammad Alì Track Club, scende a 10”13 e soprattutto mette in vetrina la sua straordinaria partenza e accelerazione nelle gare che si risolvono in un soffio o poco più: il 6”54 del 7 gennaio 1978 lo rende padrone mondiale dei 60. Il tempo verrà abbassato solo otto anni dopo da Ben Johnson (6”50 due volte e 6”44) ma le prestazioni del canadese verranno cancellate dopo la positività di Seul e il regno di Houston (che corse anche in un non mai riconosciuto 6”38) va avanti così sino all’87, quando Lee McRae vince i primi Mondiali indoor, a Indianapolis, in 6”50, nella finale che vede Pierfrancesco Pavoni terzo e Antonio Ullo quarto.

Il piccolo McTear non ebbe mai a disposizione quella rassegna e non ebbe neppure la possibilità di chinarsi al via di una prova olimpica: nell’80, dopo aver conquistato la sua seconda selezione, venne costretto a prender coscienza che la squadra americana non sarebbe andata a Mosca. Seguono anni di sbandamento, di droga, di ritorno alla miseria. Un suo breve ritorno in scena, con la vittoria ai campionati svedesi del ’90 (6”68, un po’ di polvere da sparo era rimasta…) va di pari passo con il matrimonio con la velocista svedese Linda Haglund, un’altra specialista dell’atletica in sala.

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