Kovacs, una vittoria per Joanna

23 Agosto 2015

Ai Mondiali di Pechino il pesista statunitense conquista il titolo iridato dedicato alla mamma e alla compagna che sta per sposare

di Giorgio Cimbrico

Fosse nato da genitori anglosassoni, porterebbe il nome più banale, Joe Smith. Invece è Joe Kovacs (fabbro, in ungherese), figlio di Joanna di radici bavaresi e di Joseph magiaro. Nato a Nazareth e cresciuto a Bethlehem, Pennsylvania, nomi sacri per chi vuol realizzare un miracolo: diventare campione del mondo al primo appuntamento importante concessogli dalla sorte.

Joe è una specie di mortaio umano: 1,83 per 125, ingoia la palla e la sputa molto lontano, senza esplosioni se non di meraviglia. Da dodici anni nessuno tirava le sedici libbre a una distanza così cospicua: prima 22,35, 12° di sempre, poi, a metà luglio a Montecarlo, 22,56, ottavo all time. Se Genzebe Dibaba, Asbel Kiprop e Amel Tuka non avessero disseminato la pista del Luigi II di pietre preziose, avrebbe meritato recensioni più estese. La sua storia è meglio la racconti chi lo ha allenato per primo: mamma Joanna. “Joe aveva 7 anni ed era con me, in Germania, quando abbiamo intrapreso con Joseph un viaggio della speranza: aveva un cancro terminale al colon e dopo due mesi è morto. Aveva 33 anni. Sono tornata a casa e ho pensato che figure maschili di riferimento erano necessarie per un bambino così piccolo. Io non potevo bastare. Per fortuna c’erano i miei tre fratelli. Joe ha cominciato con il football, da difensore, perché alla Betlhehem quello era lo sport. Niente pista, niente pedane. Se ha cominciato a lanciare, in un parcheggio, credo dipenda da me: per anni sono stato campionessa di peso, disco, giavellotto delle high school”.

Joanna è anche la passeggera che accompagna Joe nel loro lungo viaggio “on the road” dalla Pennsylvania a Chula Vista, California, da una sponda all’altra degli Usa. Capita alla fine del 2012 quando lui scaglia su un Cherokee i suoi averi e decide di dare una svolta dopo la delusione dei Trials per Londra: quarto, a pochi centimetri dall’obiettivo. Ha deciso di farsi allenare da Art Venegas, un vecchio guru che ha seguito molti mobili omaccioni, uno per tutti John Godina.

Buona scelta: sufficiente dare un’occhiata a progressi che assomigliano a un’escalation. I 22 metri sono superati di tre centimetri l’anno scorso e il 2015 lo trasforma in un personaggio della rete: un nullo oltre il record del mondo (l vecchio 23,12 di Randy Barnes), un lancio di riscaldamento a 24,29 diventano, come usa dire oggi, virali. Come il suo modello Adam Nelson, Joe è piccolo (a questi livelli, si intende…), fulmineo, centratissimo malgrado una tecnica (il “giro”) che si associa speso a dispersioni, lanci approssimativi, nulli.

Il primo faccia a faccia di stagione con David Storl viene a Doha: il tedesco vince con 21,51, l’americano è quarto con 20,86, che è anche la sua peggiore misura dell’anno. Più diversi di così non si può: Storl sfiora i due metri ed è un adepto della tecnica classica, la traslocazione. A Eugene, Diamond League, Joe si prende la rivincita, 22,12 a 21,92, su chi, pur essendogli minore di un anno (25 anni conto 26) ha già un collezione impressionante: due titoli mondiali, due titoli europei, un argento olimpico. La sfida va avanti alla Pontaise di Losanna: David firma un nuovo record personale, 22,20, e sopravanza l’americano di mezzo metro: 21,71. A Pechino, il faccia a faccia decisivo: Kovacs 21,93, Storl 21,74 e il bronzo al sorprendente outsider giamaicano Richards (21,69). Fuori dagli States, Joe non aveva mai vinto nulla prima di oggi. E' stato un regalo per Joanna che, dopo i Mondiali, atterra in Italia per sposarsi: “La vita non smette di stupirmi”.

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