La geografia dell'alto italiano
11 Febbraio 2016A 60 anni dal primo volo azzurro oltre i due metri, nomi e famiglie che compongono il fiume del salto in alto azzurro.
di Giorgio Cimbrico
Il gran fiume del salto in alto italiano ha molti affluenti. Procedendo dal tempo in cui, per la prima volta, venne varcata un’asticella posta a 2,00 (44 anni dopo George Horine) può essere individuata una serie di appartenenze etniche che farebbe la gioia di Gianni Brera. Non fu proprio il grande Gioann a classificare di pura razza berbera Beppe Gentile dopo i magnifici rimbalzi messicani del triplista romano e soprattutto dopo una lunga intervista che Atletica pubblicò in un magnifico numero speciale dopo le Olimpiadi del ’68? I vecchi del mestiere lo conservano come una Bibbia di Gutenberg.
La tribù ligure-piemontese. Quest’anno, il 9 settembre, ricorrerà il 60° anniversario del primo volo azzurro oltre i 2,00 (2,01), spiccato a Lugano dal povero Gian Mario Roveraro, nativo di Albenga e così ingauno. Il successore nella cronologia fu l’occhialuto (e prematuramente scomparso) Walter Zamparelli, nativo di Arenzano, alle porte di Genova e capace di elevarsi sino a 2,04, prima di esser rilevato da Mauro Bogliatto, torinese di Ala di Stura e primo a toccare la barriera dei 2,10. Elemento di congiunzione tra le due zone geografiche è Giacomo Crosa, alessandrino di nascita e genovese d’adozione: il sesto posto ai Giochi di Mexico con tre record italiani, uno in qualificazione e due in finale, sino a 2,14, rimane uno dei momenti importanti nella storia della specialità oltre al miglior piazzamento di un azzurro alle Olimpiadi. Dieci anni dopo un allampanato giovanotto impiegato alla Fiat, Oscar Raise, torinese di cintura, si sarebbe issato a 2,23 e in successive tappe sino al 2,27 che avrebbe condiviso con Massimo Di Giorgio e Bruno Bruni in fondo a un’indimenticabile serata bolognese. I Tre Moschettieri, già comparsi in questa storia di duelli con la forza di gravità, non sono una novità di questi nostri giorni di frenetico fervore. Il penultimo virgulto, ormai albero con solidissime radici, offerto dal Nord Ovest è Marco Fassinotti, l’ultimo è Stefano Sottile, campione mondiale tra i giovani al limite dei 17 anni.
Il Sud. Il contributo è legato alla figura da bronzo di Riace di Erminio Azzaro, salernitano di Pisciotta, dotato di baffi alla Emiliano Zapata e capace di conquistare una medaglia di bronzo europea, al Pireo ’69, che ancora lo colloca in testa alle acquisizioni azzurre all’aria aperta. Grazie a Erminio il record levitò e lievitò sino a 2,18.
I triveneti. Una successione di nomi e di quote superate da friulani e veneti fascia la cronologia del record italiano come un solido rampicante: il potente ventralista Enzo Del Forno compare sette volte, il veneziano Rodolfo Bergamo due, Bruno Bruni due, Massimo Di Giorgio cinque (con primo atterraggio di un azzurro oltre i 2,30), il trevigiano Paolo Borghi una, Luca Toso due, con un balzo a 2,32 avviato ai 28 anni di età e così assegnabile, per l’epoca, alla classe mondiale più limpida e assoluta. Un altro udinese, Alessandro Talotti, ha chiuso la carriera con 2,32 (indoor) sfiorando il podio europeo a Monaco 2002. Mancava la Venezia Tridentina: ci ha pensato Silvano Chesani a colmare il vuoto con quell’argento indoor di Praga 2015 che rappresenta il podio più alto scalato da un saltatore italiano.
Benedetti toscani. Il pisano Roberto Galli visse proprio nella città natale la sua giornata più alta. Il 1° giugno 1963 si riappropriò del record che gli era stato sfilato da Zamparelli e nel giro di pochi minuti lo portò prima a 2,06 e poi a 2,08. Nel pieno degli anni Settanta comparve un talentuoso e sfortunato ragazzo nato nei dintorni di Firenze, Riccardo Fortini: il suo 2,23 è datato ’76.
Sulla via Emilia. Il parmigiano Giordano Ferrari, un peso leggero dalle magnifiche attitudini aeree, si inserì con un sorprendente 2,20 nella serie dei sette limiti nazionali di Del Forno e il ferrarese Marcello Benvenuti offrì la sua ascensione-record nella città di Sara Simeoni: un 2,33 annata ’89 vale un Petrus. Modena, che ha accolto Chesani, ha offerto due atleti saliti a 2,30, Fabrizio Borellini e Filippo Campioli. Al record nazionale non sono mai arrivati i gemelli riminesi Giulio e Nicola Ciotti che giusto nella stagione indoor morava, a Hustopece, firmarono una coppia di 2,31 che non ha riscontri. Nicola ebbe la palla buona per conquistare il titolo mondiale a Helsinki 2005 ma la spedì in rete. Quinto.
Longobardi. Il bergamasco Andrea Bettinelli diede il meglio, 2,31, su una pedana che ha fornito prestazioni formidabili, quella di Rieti. Il cremonese Roberto Ferrari ebbe la sua giornata (2,30) nella finale di Coppa Europa ospitata dall’Olimpico romano nel ’93.
La saga dei Tamberi. In questo caso ci troviamo di fronte a una vicenda diversa, sovraregionale e sedimentata su tre generazioni: nonno Bruno, toscano ma in gara per la Gil di Spezia, fu per quindici anni il detentore del primato ligure. Tutto il resto è ascrivibile alle Marche, terra di poeti, musicisti e duellanti: Marco, estroso e sfortunato, non ebbe la sorte che avrebbe meritato. Gianmarco detto Gimbo (ma quando un grande marchio della rasatura lo sceglierà come testimonial?) sta prendendo la strada dell’Empireo. Un carro di fuoco, direbbero gli inglesi. E magari anche il primo italiano a 8 piedi. Calcolate, gente, calcolate.
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