Le leggende dell’alto: “Come si fa la storia”
19 Maggio 2020Emozioni, ricordi e il piacere di stare insieme per raccontarsi ai più giovani. C’è tutto questo nel secondo webinar-evento della serie “La storia siamo noi”, stavolta dedicato al salto in alto con sei stelle azzurre della specialità. L’atleta del secolo Sara Simeoni, oro olimpico a Mosca ’80, e la primatista italiana Antonietta Di Martino, poi Erminio Azzaro, bronzo europeo nel ’69 oltre che marito-coach della Simeoni, e il finalista a cinque cerchi di Messico ’68 Giacomo Crosa, insieme a Enzo Del Forno, primo azzurro a quota 2,20, e Massimo Di Giorgio, che invece è stato il primo italiano a superare la misura di 2,30. Un confronto tra epoche e stili diversi, dal ventrale al Fosbury, allestito dal responsabile federale dei salti Claudio Mazzaufo coadiuvato dal collaboratore Giulio Ciotti, sulla piattaforma AtleticaViva Online della FIDAL.
SARA SIMEONI - La regina dell’alto, con le sue tre medaglie olimpiche: l’oro di Mosca in mezzo a due argenti (Montreal ’76 e Los Angeles ’84) e al primato mondiale di 2,01 nel 1978. “Ma ho capito di aver fatto il salto di qualità ai Giochi del ’72 a Monaco, dove a 19 anni mi ero migliorata di cinque centimetri, a tre dal podio. Lì ho iniziato a chiedermi cosa avrei potuto fare e dopo il diploma Isef mi sono detta di riprovarci, con il trasferimento a Formia dove avevo a disposizione il meglio in quel momento. Ho cominciato con i ritagli di gommapiuma nei sacconi e le asticelle di alluminio, anche per questo mi sono portata dietro un errore tecnico nel movimento delle braccia, che era quasi un modo di ripararsi. Lo stile Fosbury è stata la mia salvezza perché era meno schematico del ventrale e mi lasciava libera di testa”.
ANTONIETTA DI MARTINO - “Il mio idolo era Sara Simeoni, non poteva essere altrimenti... anche perché sapevo che era fidanzata con un ragazzo delle mie parti”, sorride la campana Antonietta Di Martino con il riferimento a Erminio Azzaro. È la “ragazza della porta accanto”, come viene presentata da Mazzaufo: 170 centimetri di statura, o poco meno, per trovare un posto tra le migliori del mondo fino a 2,04. “Ho avuto infortuni e momenti difficili, ma ho sempre stretto i denti con grinta. L’eptathlon, che ho praticato a lungo, mi ha aiutato tanto anche per la resistenza mentale, non solo fisica. Ho trovato il mio metodo, basandomi sulla multilateralità, e con me ha funzionato. Il momento cruciale? Nel 2001 quando ho saltato 1,93 al primo tentativo in Coppa Europa di prove multiple, dopo un 100 ostacoli corso al massimo”.
ERMINIO AZZARO - “Ritrovarci tra ventralisti è un revival della scuola di Formia e di Nicola Placanica. Con la sua moviola abbiamo studiato i salti di Valery Brumel, la sua tecnica perfetta che era il nostro riferimento. Poi il giorno dopo la sua vittoria olimpica ho provato il Fosbury, da cui ero rimasto incantato, ma mi sono rotto il setto nasale nel richiamo delle gambe... e ho capito che non era per me, avevo qualità muscolari diverse. Ognuno appartiene al suo tempo. Come tecnico, quello stile mi è servito per impostare il lavoro di Sara sulla forza e trasformarla per rendere efficace lo stacco. In allenamento riusciva benissimo nell’azione delle braccia, ma in gara perdeva quello sinistro e ho preferito lasciarla libera di interpretare il gesto per non condizionare la velocità di entrata. Anche per questo il consiglio ai tecnici è di curare la coordinazione, prima possibile”.
GIACOMO CROSA - Protagonista nella storica Olimpiade del ’68, sesto alle spalle di tre statunitensi e due sovietici in quella finale memorabile per lo stile “a gambero” del vincitore Dick Fosbury, prima di diventare un affermato giornalista. “Ma finché ero in gara neanche l’ho guardato. E più che il gesto tecnico, mi porto dietro il suo approccio al salto, la sua trasfigurazione fisica. Il mio idolo all’epoca era Valentin Gavrilov, terzo a Città del Messico, al di là di Brumel che resta il Michelangelo di quel periodo. In quegli anni c’era il silenzio che sottolineava il salto, un momento di emozione straordinaria. Tra i miei rimpianti, quello di non aver fatto il tecnico per costruire un ventralista. Per me il grande Vladimir Yashchenko, primatista mondiale con l’indimenticabile 2,35 agli Europei indoor di Milano ’78, è l’ultimo angelo sceso sulla terra per insegnare all’uomo come volare. In fondo gli altisti sono tutt’altro che normali, ma sono orgoglioso di esserlo e mi sento un privilegiato perché saltare è un esercizio della mente”.
ENZO DEL FORNO - Ha portato il record italiano a 2,22 dopo essere stato il primo azzurro capace di saltare 2,20 ma la sua parabola non è mai finita perché collabora da tanti anni con il settore tecnico federale. “Non avevo grandi doti - ricorda - ma mi sono lanciato nella carriera sportiva per curiosità e piacere di andare al campo, con tanta buona volontà e determinazione, non senza intoppi perché a dodici anni mi sono fratturato la gamba sinistra di stacco. Dietro la porta della camera avevo appesi fotogrammi di saltatori e li guardavo ogni mattina prima di vestirmi e andare a scuola. Mi sono ispirato a Gavrilov e alle Universiadi di Mosca ’73 ho avuto l’onore di conoscerlo, di salire sulla sua macchina e fare un giro. Tra i ricordi più curiosi, quando ho vinto una gara in Kentucky, negli Stati Uniti, e per premio ho ricevuto un pony! Non ho potuto portarlo in Italia, ma in quel periodo si viaggiava a targhe alterne per l’austerity... avrebbe quasi fatto comodo”.
MASSIMO DI GIORGIO - Misure che restano nella storia: record italiano da 2,25 a 2,30 in poco più di due anni, tra il ’79 e l’81. “Più che i primati, volevo portare avanti la grande scuola di chi mi aveva preceduto. Sono arrivato all’atletica per caso, invitato da un insegnante di educazione fisica che aveva notato la mia struttura, perché ero già 1,91 di statura come adesso. Non sapevo cosa fosse un campo di atletica, ma avevo visto qualche immagine di salto in alto e allora superai subito 1,85 in modo inconsapevole. Da lì con i tecnici Faustino Anzil e Sergio Zanon ho ricalcato il Fosbury, muovendo però le braccia in modo simmetrico. Nel ’75 con il record italiano allievi a 2,17 mi sono reso conto di poter valere misure importanti e fui invitato alla Pasqua dell’Atleta di Milano: ero in camera con Enzo Del Forno, vidi che si rilassava nella vasca da bagno con il bicarbonato, provai a imitarlo ma ci rimasi più di un’ora e poi la gara fu un disastro! L’unica ferita ancora aperta è la mancata partecipazione ai Giochi di Mosca, che furono negati ai militari. Il più grande di ogni tempo è Yashchenko, nella gara del record si vede che salta 2,27 addirittura senza richiamare la gamba di stacco”.
BRUNA E SARA - Tra i partecipanti alla videoconferenza alcuni azzurri di spicco, da Elena Vallortigara a Stefano Sottile, e anche giovanissimi come la junior Idea Pieroni e la tricolore cadette Aurora Vicini, per chiudere con una gradita sorpresa. A pochi giorni dall’articolo di Vanni Lòriga sul sito federale, che ricordava una sconfitta giovanile di Sara Simeoni, è comparsa in video l’atleta che era riuscita a batterla in quella gara: Bruna Germano, moglie di Giacomo Crosa, per salutarla e rivederla dopo tanto tempo.
l.c.
SEGUICI SU: Instagram @atleticaitaliana | Twitter @atleticaitalia | Facebook www.facebook.com/fidal.it
Condividi con | Tweet |
|
Seguici su: |