Lucio Gigliotti, 90 anni tutti d’oro
08 Luglio 2024di Fausto Narducci
Una sola cosa è più sicura dei 90 anni che compirà martedì 9 luglio: non troverete mai nessuno che vi parli male di Luciano Gigliotti. E non troverete nessuno di cui il tecnico modenese vi parlerà male. Questi novant’anni, portati con incredibile freschezza, anagraficamente dovrebbero rappresentare acquisita saggezza ma è difficile stabilire cosa l’età potrebbe aggiungere a chi equilibrato e autorevole lo è sempre stato. L’allenatore che può vantarsi di aver portato al titolo olimpico della maratona due suoi allievi - Gelindo Bordin a Seul ’88 e Stefano Baldini ad Atene 2004 - era amato e rispettato da tutti anche quando la specialità era divisa in scuole di pensiero oltre che tecniche. In quell’Italia che dominava il mondo quando gli africani cominciavano solo ad affacciarsi, c’erano isole e correnti diverse ma l’unico che raccoglieva consensi unanimi era proprio lui: Luciano detto Lucio, il tecnico che dietro la voce pacata e i modi gentili nasconde un sacro fuoco per l’insegnamento tecnico e per l’atletica che non è mai venuto meno.
LA VOCAZIONE - Gigliotti è nato ad Aurisina, sul Carso Triestino, il 9 luglio 1934, ma è diventato subito modenese di adozione quando i genitori, profughi giuliani, avevano raggiunto i parenti in Emilia per sfuggire alle Foibe. Da atleta aveva provato i 400 e gli 800 ma si era capito che la sua vera vocazione era quella per l’insegnamento quando nel 1968 a Città del Messico, a 34 anni, raggiunse la prima delle sue svariate Olimpiadi da allenatore con Renzo Finelli, il bolognese che vestiva la maglia delle Figurine Panini e che fu eliminato nelle batterie dei 1500. Il primo di una lunga serie di talenti scoperti e forgiati da Gigliotti perché a Monaco ‘72 il tecnico ci arrivò grazie ad Antonio Brutti (primatista italiano di maratona nel ‘72 con 2h17:21) e a Giuseppe Cindolo, specialista dei 10.000 che Lucio portò poi con successo ai 42 km passando dallo storico bronzo europeo di Roma ‘74. “Lucio era stato l’unico a credere nelle mie possibilità di medaglia quando me ne andavo in raduno a St. Moritz e mi vedevano come un oggetto misterioso. Un fratello maggiore”, ha raccontato l’avellinese sulle pagine di Atletica prima degli ultimi Europei di Roma. Proprio con Pippo, il modenese di adozione aveva sperimentato le nuove metodologie della corsa prolungata, col doppio allenamento giornaliero e i raduni in altura, che avrebbero contribuito a creare la scuola della maratona italiana. Ma nel frattempo Gigliotti, che sarebbe diventato responsabile del mezzofondo azzurro, aveva spaziato anche sulle distanze brevi portando Carlo Grippo alla finale olimpica degli 800 (ottavo) a Montreal ‘76 e Vittorio Fontanella a quella dei 1500 (quinto) a Mosca ‘80.
IL GENERO LAMBRUSCHINI - Ma il bello doveva ancora venire, dopo quella che possiamo definire la fase sperimentale. All’orizzonte c’erano le imprese del toscanaccio che sarebbe diventato suo genero (marito di sua figlia Cristina che ha reso Lucio nonno) anche se per Alessandro Lambruschini i meriti vanno condivisi con Giancarlo Chittolini, l’allenatore che portava sul campo i programmi del Prof. Un binomio che aveva lavorato molto sulla tecnica del passaggio dell’ostacolo guidando Lambruschini, maestro di eleganza, ai quarti posti di Seul ‘88 e Barcellona ‘92 prima dell’apoteosi del bronzo di Atlanta ‘96.
I RADUNI - I raduni del mezzofondo azzurro guidati da Gigliotti a Tirrenia e poi in altre zone della Toscana e dell’Emilia, spesso sfruttando anche il fondo stradale per i ‘lunghi’, erano diventati proverbiali, chi vi assisteva aveva tutto da imparare sulle metodologie di allenamento ma anche su come si vive in gruppo a tavola e durante il riposo senza perdere mai l’allegria ma neanche far calare la tensione. Gli anni Ottanta-Novanta, coronati dall’oro olimpico di Seul ‘88 e dalla vittoria di Boston nel ‘90 da parte di Gelindo Bordin, talento veneto ‘sprovincializzato’, portarono la fama di Gigliotti in giro per il mondo e si riallacciano direttamente alle imprese di Stefano Baldini che può considerarsi l’erede diretto del Professore anche come tecnico.
LA PRIMA DONNA - Ma Gigliotti che sapeva adattarsi allo stesso modo al carattere vulcanico di Gelindo e a quello meticoloso di Stefano, doveva superare un’altra frontiera: portare al successo internazionale una donna. L’impresa gli riuscì con Maria Guida, campionessa europea di maratona a Monaco 2002, di cui Lucio fu un secondo padre e con cui creò un rapporto indissolubile che dura ancora adesso. Di azzurre campionesse ce ne sarebbero state poi tante ma quella di Maria, passata attraverso mille difficoltà e diventata anche lei allenatrice, resta un’impresa speciale. E va detto che Lucio sapeva trattare tutti allo stesso modo, da Baldini a Giovanni Ruggiero, pedina fondamentale del suo gruppo di lavoro.
A NOVANT’ANNI - Oggi che Gigliotti è arrivato alla invidiabile soglia dei 90 anni, più che chiederci quale sia stato il suo allievo prediletto o quale sia stata l’impresa a cui è più legato, dobbiamo interrogarci sul segreto di questa longevità agonistica in una carriera senza eguali. Oltre all’indiscutibile bagaglio tecnico (raccolto nel libro ‘Mi chiamavano professor fatica’ con Claudio Rinaldi, edizioni Ediciclo) sicuramente la capacità di far gruppo, di restare all’occorrenza dietro le quinte, di saper ascoltare e condividere i problemi di tutti, di dare lezioni senza alzare la voce, di essere sempre disponibile per tutto e per tutti. Sembrano parole di circostanza ma dietro il celebre baffo del Prof, oggi come ieri, c’è l’allenatore dell’unità, colui che abbraccia, oltre ogni divisione, le mille anime dell’atletica italiana.
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