New York e Berlino, niente maratone nel 2020

24 Giugno 2020

Il virus ferma la 42,195 km della Grande Mela, sogno di circa 3000 italiani ogni anno. Salta anche l’evento della capitale tedesca, il più veloce al mondo

di Giorgio Cimbrico

La pandemia spazza le grandi maratone. In pochi minuti si arrendono prima New York e poi Berlino: la corsa più famosa e la fucina dei record del mondo, sino al 2h01:39 di Eliud Kipchoge datato 2018, spariscono dal calendario di un anno spietato. New York e Berlino raggiungono Boston, disputata anche durante le guerre mondiali e uscita di scena il mese scorso. Londra, spostata ad ottobre, è in forte dubbio. Al momento è invece confermata Amburgo per il 13 settembre: non una major ma è lì che nacque la stella del Kipchoge-maratoneta al debutto (vincente) nel 2013. 

Il timore di un virus che serpeggia e si diffonde si abbatte sulla corsa newyorkese che il 1° novembre avrebbe dovuto celebrare la cinquantesima edizione. Il popolo che dal ponte di Verrazzano fa rotta per Central Park non può che darsi appuntamento all’anno prossimo. Nessuna garanzia di sicurezza per i 50.000 al via, per l’esercito dei volontari, per gli spettatori, ammettono gli organizzatori. Sulla scelta berlinese pesa un decreto governativo: sino al 24 ottobre non possono essere organizzati eventi che radunino più di 5000 persone.

GRANDE MELA - In mezzo secolo l’invenzione di Fred Lebow che ogni anno raduna circa 3000 italiani si era fermata soltanto una volta: capitò nel 2012 quando, dopo il passaggio dell’uragano Sandy, proprio alla vigilia, il sindaco Michael Bloomberg constatò che non esistevano le condizioni perché la corsa potesse andare in scena. Quella tempesta aveva messo in ginocchio la città, interrotto i collegamenti, messo in crisi i servizi più essenziali.

La creatura del New York Road Runners non si era arresa neppure di fronte all’immane tragedia che aveva aperto il nuovo millennio: a meno di due mesi dall’attentato alle Torri Gemelle, mentre su Ground Zero aleggiava ancora un pulviscolo di polvere e morte, la maratona si trasformò in un’affermazione di speranza, in un desiderio di vita.

Val la pena ricordare i vincitori di quell’anno inciso nella memoria: l’etiope Tesfaye Jifar e la keniana Margaret Okayo.

Qualcuno ha definito New York il sogno per tutti coloro che amano la corsa, altri l’hanno chiamata una grande “commedia umana”: in questo senso, uno dei capitoli più commoventi rimane l’abbraccio tra Fred Lebow, il demiurgo, e Grete Waitz, la norvegese nove volte vincitrice, quando ormai un male incurabile aveva minato entrambi.

QUANTA ITALIA - Nel 1984 New York diventò il palcoscenico in cui recitò da prim’attore Orlando Pizzolato: era una domenica di estate indiana, dalle improvvise ondate di umido calore che il veneto riuscì a domare. Quel nome ne risvegliò un altro, immortalato in una canzone da Ira Berlin: “Orlando as Dorando”, titolò un giornale il giorno dopo offrendo un viaggio all’indietro nel tempo, per il gran derby di maratona di Staten Island che vide al via il piccolo eroe di Londra 1908. Un anno dopo, Orlando concesse il bis e formò la solida base per il triennio italiano: nell’86 primo a Central Park fu il bresciano Gianni Poli.

L’edizione 1996 è quella in cui Giacomo recitò da Leone: dopo quasi un quarto di secolo il pugliese di Francavilla Fontana rimane l’ultimo vincitore europeo. Dopo di lui, solo Kenya, Etiopia, Brasile, Sudafrica e Stati Uniti, ma con salde radici africane: Meb Keflezighi è eritreo. L’ultimo hurrà azzurro nell’attraversamento dei ponti, nel solcare avenue, specie l’interminabile First, è del ’98 quando la romana Franca Fiacconi mise le mani su un’arca che aveva a lungo inseguito, un sogno a cui andò quattro volte vicina, molto vicina, Laura Fogli.

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