Quando l'atletica è un fatto di coppia
13 Aprile 2017di Giorgio Cimbrico
Dopo il dominio della famiglia Lonyangata-Rionoripo nella maratona di Parigi, con cinque minuti di progresso complessivo e 84 km abbondanti bruciati in quattro ore e 27’, è stato necessario risalire a quasi 65 anni fa – il 24 luglio 1952 – per ritrovare la giornata felice in contemporanea di una coppia.
Emil Zatopek aveva appena ricevuto la medaglia d’oro dei 5000 (dopo il capitombolo sull’ultima curva di Chris Chataway e la lotta selvaggia tra il moravo, il francese d’Algeria Alain Mimoun e il tedesco Herbert Schade) quando Dana Zapotkova, già signorina Ingrova, gli si avvicinò: “Ehi, Emil, mi fai vedere la medaglia? Bella. Anzi, facciamo una bella cosa. La tengo io, chissà, può portarmi fortuna”. Portò fortuna: al primo lancio, 50,47, record olimpico. La sera Emil rivendicò una parte di quel successo: “Ti ho ispirata io”. “Cosa? – replicò Dana – va bene, se la metti così vai a ispirare qualcun'altra e vedi se trovi una ragazza capace di lanciare il giavellotto a cinquanta metri”. La fiera reazione di Dana è all’origine dell’originalissimo autografo di Emil: un omino inseguito da una donnina che brandisce una lancia appuntita. Emil e Dana erano nati lo stesso giorno, lo stesso mese, lo stesso anno: il 19 settembre 1922, quando la Cecoslovacchia era appena nate dalle ceneri dell’Impero Austro-Ungarico.
All’accoppiata consumata in un pomeriggio andò molto vicina una delle coppie-simbolo degli anni Cinquanta, sbocciata in pieno clima di guerra fredda, piuttosto calda nei giorni della rivolta d’Ungheria e dell’invasione sovietica. A dire il vero, Olga Fikotova, oro nel disco il 23 novembre 1956, e Hal Connolly, oro nel martello 24 ore dopo, non erano ancora sposati ma lo sarebbero stati appena dopo i Giochi di Melbourne, per un’unione che sarebbe durata 17 anni. Dopo il divorzio, Hal sposò Pat Daniels, pentatleta che prese parte a tre edizioni dei Giochi. Hal ne collezionò quattro e Olga, nel frattempo diventata americana, ne mise assieme cinque, sino al 1972, quando ebbe l’onore di portare la bandiera.
Mary Rand conobbe Bill Toomey nel ’67, alle preolimpiche di Città del Messico.
Era la più famosa atleta britannica: a Tokyo la ragazza di Wells, Somerset, aveva vinto il titolo nel lungo (quello maschile sarebbe finito quattro giorni dopo nelle mani del gallese Lynn Davies per uno slam difficilmente riproponibile), l’argento nel pentathlon, il bronzo nella 4x100. Bill non era altrettanto famoso ma, come un suo famoso concittadino (Rocky Balboa) avrebbe scalato in fretta la piramide: oro nel decathlon nel ’68 e, un anno dopo, a Los Angeles, il record del mondo grazie a uno dei suoi inizi brucianti. 10”3 e 7,76. Una settimana dopo, il matrimonio con Mary.
Al Joyner e Florence Griffith diventarono marito e moglie nel ’87: lui era il sorprendente campione olimpico di triplo (quello che valeva, lo mise sul piatto; non altrettanto seppero fare Mike Conley e Willie Banks), lei era la vice-campionessa dei 200 che si stava nuovamente riavvicinando alla pista dopo un periodo interlocutorio. Un altro argento, a Roma ’87, segnò il suo ritorno in scena che finì per diventare fragoroso, riassumibile in tempi e numeri - 10”49, 21”34, tre titoli, quasi quattro, a Seul – prima che la morte la strappasse ad Al prima dei 39 anni.
La coppia che si è spinta più in alto, in tutti i sensi, dell’atletica azzurra, è la Simeoni-Azzaro: un record di 4,19, 2,01 lei, 2,18 lui e un raccolto straordinario a cui offre contributo il baffuto saltatore di Pisciotta, terzo agli Europei del Pireo, nel ’69, 2,17, stessa misura del vincitore, il sovietico Valentin Gavrilov, e del secondo, il finlandese Reijo Vahala.
Non rimane che tornare a Purity e a Paul, i due maratoneti affusolati e di gamba lunga che, malgrado la giovane età (24 da compiere lei, 24 compiuti lui), sono una coppia dal 2010, quando erano poco più che adolescenti. Vengono dalla parte più a ovest del Kenya, il West Pokok, a ridosso dell’Uganda (stessa regione che ha dato i natali a Tegla Loroupe), hanno un buon passato giovanile e, per il futuro, una “vie en rose” che hanno imboccato nella città dell’amore per antonomasia. Dovesse smettere con la corsa, Purity avrebbe un futuro assicurato come mannequin. In una casa di moda di Parigi, naturalmente.
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