Quando non c'era internet
23 Dicembre 2015Qualche curioso aneddoto sul mestiere del giornalista sportivo prima della rivoluzione tecnologica e dell'era dei social network
di Giorgio Cimbrico
Ricordi di vecchi amici e colleghi che non sono Matusalemme - che, come sostiene la Bibbia, visse 969 anni – riportano a un tempo vicino e lontanissimo quando la comunicazione non era così agevole e istantanea. Luciano Ravagnani, che ha seguito molti sport – anche l’atletica – non riuscì mai a trasmettere il suo servizio sul match di rugby tra l’Italia e il Galashiel e Elio Trifari lasciò un gustoso resoconto delle sue peripezie per trasmettere la presentazione del Cross delle Nazioni da Chepstow, Galles. Stiamo parlando degli anni Settanta e di due paesi al di qua della famigerata Cortina di Ferro, non del tempo in cui il re Dario affidava la posta ai suoi fidati messaggeri che galoppavano nel vasto impero persiano.
E così c’era chi (uno è quel vecchio fusto di Vanni Loriga) non mancava di viaggiare su suolo italiano con un sacchetto ricolmo di almeno cinquanta gettoni. Il gettone – lo diciamo per i giovani – era una specie di moneta di un color rame che diventata in fretta bronzeo, con un solco in mezzo, che doveva essere infilato in un’apposita fessura. Quando faceva clack, si poteva comporre il numero: la durata era assicurata dall’immissione di altri gettoni. Ultimo costo segnalato, 200 lire, circa 10 centesimi di euro. Il telefono a gettoni era spesso l’unico mezzo per comunicare, la teleselezione era un lusso e chi aveva l’autorizzazione dal giornale di avere un apparecchio abilitato a tale traffico, riceveva anche un lucchetto in modo che, in sua assenza, i colleghi o chi passava di lì per caso non potessero servirsi liberamente chiamando amici residenti a La Paz o nelle Isole della Società. Nell’83, quando Mennea centrò il record mondiale indoor a Genova, pensai di essere un privilegiato: avevo un telefono in borsa e soprattutto una linea abilitata a cui potevo collegarmi. Fu in quel modo che l’acuto del povero Pietro fu offerto al mondo, chiamata dopo chiamata.
Altri strumenti spariti sono il telex e il fax. Con il telex si scriveva un testo che finiva su un nastro bucherellato per poi essere inviato al destinatario in un crepitare di impulsi che riportava a uno scenario bellico o all’affondamento del Titanic. Il fax forse è ancora ricordato e non merita un particolare approfondimento. Ovviamente veniva usata anche la posta: se il pezzo non era di stringente attualità, veniva messo in una busta, il Fuori Sacco, da consegnare in stazione e da inoltrare con il primo treno. I giornali avevano anche una cassetta alla Posta Centrale e una delle prime incombenze dei novizi e degli apprendisti era andare a svuotarla ed esaminare il materiale che vi era stato inzeppato dentro.
Un modo abbastanza rapido di comunicare era il telegramma: venivano scritti, in modo assai succinto, i fatti che in redazione dovevano poi essere sviluppati dall’estensore che in questo modo sviluppava le sue capacità di prosatore. Con poco si riusciva a scrivere molto. Molti dei resoconti sui fantasmagorici record di Mexico ’68 scavalcarono l’Atlantico in quel modo. Era una specie di liofilizzazione: con un po’ di parole calde, il racconto diventava abbondante e bollente.
Primo telefonino visto, ma non usato, a Italia ’90: era massiccio, pesante e costosissimo. Secondo cellulare visto, a Barcellona 92; anche quello pesante e costosissimo. La prima impressione fu quella provata dal dignitario veneziano che, di fronte al primo cannocchiale galileiano, si ostinava a dire “mi no vedo gnente”. Aveva capito che il suo vecchio mondo stava per sparire. Il nostro sparì in fretta.
Lo strumento principale era la macchina da scrivere, ma a me è capitato di vedere i vecchi guru vergare con la penna stilografica o dettare, come si diceva in gergo, a braccio, fidandosi della propria memoria o tenendo sotto gli occhi il notes con gli appunti. I primi computer, diventati oggetto di modernariato ma senza particolare valore (i telefoni in bachelite, invece, sono carissimi e ricercati), non avevano un gran design e incutevano un certo timore perché avevano la feroce tendenza a mangiarsi i pezzi. Dopo un rapido e ferale pasto organizzato dal mio macchinario, scoppiai a piangere ma imparai una cosa: non tentate mai di riscrivere il pezzo, scrivetene uno nuovo. Ma questo è un consiglio che andava bene tempo fa: oggi ho idea siano meno voraci. “Siamo vostri amici”, come dicevano i marziani in Mars Attack.
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