Road to Kampala: le storie d'oro d'Uganda
22 Marzo 2017Dall'impresa di John Akii-Bua, campione olimpico dei 400hs a Monaco 1972, alla doppia vittoria del maratoneta Stephen Kiprotich, oro alle Olimpiadi di Londra 2012 e ai Mondiali di Mosca 2013
di Giorgio Cimbrico
I Mondiali di corsa campestre a Kampala invitano a un viaggio nell’archivio, scarno ma prezioso, dell’atletica dell’Uganda. Primo soffio, quasi mezzo secolo fa, a Mexico City, quando Amos Omolo raggunse una finale dei 400 stellare e anche molto africana: quarto il senegalese Amadou Gakou in 45.01, sesto l’etiope Tegegne Bezabeh in 45.42, ottavo Omolo, oggi 80enne, che pagò i turni e chiuse in un modesto 47.61 dopo aver approfittato delle formidabili condizioni offerte dall’altopiano e portato il record nazionale a 45.33.
Prima delle efferate attività di Idi Amin Dada, l’Uganda tornò in scena con l’indimenticabile impresa di John Akii-Bua: il 2 settembre 1972, dopo una notte insonne (“avevo saputo che avrei corso la finale in prima corsia, quella del perdente, e così non chiusi occhio”), John non si preoccupò del veemente avvio di David Hemery (neppure a Mexico il nasuto sir Drake era passato così veloce ai 200, 22.8) e lanciò la sua rincorsa nella seconda parte, esibendo quella straordinaria facilità che sembrava smaterializzare le barriere. Vinse di sei metri su Ralph Mann e sul campione uscente, abbattendo di trenta centesimi (47.82 a 48.12) il record mondiale di Hemery e proponendosi come primo della storia sotto la barriera dei 48 secondi, e diede vita a un giro d’onore che chi era all’Olympiastadion bavarese o davanti alla tv non ha dimenticato.
La caccia alla storia personale della prima medaglia d’oro del paese dell’Africa Orientale fruttò un carniere colmo di curiosità: suo padre, appartenente alla tribù Langi, aveva otto mogli e aveva messo al mondo 43 figli. John, terzo ai Giochi del Commonwealh del ’70 a Edimburgo, era poliziotto, campione ugandese di decathlon e aveva iniziato con gli ostacoli alti senza grande fortuna, prima di entrare nell’orbita tecnica di Malcolm Arnold, l’allenatore britannico che, in seguito, portò a una lunga serie di successi Colin Jackson e, prima di pensionarsi, è stato all’origine dei violenti progressi di Andrew Pozzi.
Il boicottaggio dell’Uganda, così come della maggior parte dei paesi africani, ai Giochi del ’76 (la stagione del record personale di John nei 400, 45.82) impedì che Montreal potesse offrire la sfida tra Akii-Bua e l’astro nascente Edwn Moses. La vita di Akii-Bua non fu né facile né semplice: fuggì dal paese perché non si sospettasse un suo coinvolgimento nei crimini di Dada, finì in un campo di rifugiati in Kenya e grazie all’aiuto della Puma trovò rifugio e lavoro in Germania, dove provò a ricostruirsi e a tentare una seconda avventura olimpica a Mosca 1980, chiudendo la semifinale in un modestissimo 51.10. Tornato in patria dopo la caduta di Amin, abbracciata la carriera di allenatore, assai prolifico (undici figli) ma non come il padre, si è spento dopo lunga malattia appena 47enne: il 20 giugno verrà celebrato il ventesimo anniversario della scomparsa di chi meritò funerali di stato e guadagnò lo status di eroe nazionale.
Quarant’anni dopo, l’Uganda tornò a celebrare un oro olimpico in un luogo a fortissima valenza simbolica: sul Mall londinese, nella casa dei vecchi padroni britannici. Nell’ultimo giorno dei Giochi 2012, Stephen Kiprotich (che aveva cominciato a far parlare di sé nel 2011 vincendo a Enschede in 2h07:20) fece un boccone della concorrenza keniana ed etiope e conquistò il titolo della maratona in 2h08:01. Nativo del distretto di Kapchorwa, Stephen aveva attraversato il confine tra Uganda e Kenya a 17 anni, trovando una sistemazione ideale a Eldoret e un perfetto compagno di allenamenti, Eliud Kipchoge, suo erede olimpico. Tattico raffinato, Stephen ha saputo concedere il bis un anno dopo, ai Mondiali di Mosca, centrando un’accoppiata riuscita solo all’etiope Gezahegne Abera.
Le pagine IAAF sui Mondiali di Cross - Kampala 2017
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