Ron Clarke, addio al re senza corona

17 Giugno 2015

Scomparso all'età di 78 anni l’atleta australiano dei 17 record mondiali, dalle due miglia all’ora di corsa, e mai una medaglia d’oro, né alle Olimpiadi né ai Giochi del Commonwealth.

di Giorgio Cimbrico

Ron Clarke indossava magnifiche magliette artigianali: una canottiera bianca su cui aveva cucito una carta geografica dell’Australia, una verde con un boomerang. Era lo stesso tipo di “aussie” alto e asciutto, dall’espressione decisa, che cinquant’anni prima si era ritrovato a combattere una guerra non sua nelle trincee di Gallipoli e della Fiandra. “Era un uomo generoso e una fonte di ispirazione”, lo ha ricordato John Landy, un altro degli australiani che terremotarono il mezzofondo, quando ieri è giunta la notizia della sua improvvisa scomparsa, a 78 anni: Clarke, l’uomo dei 17 record mondiali, dalle due miglia all’ora di corsa, e mai una medaglia d’oro, né alle Olimpiadi né alla celebrazione sportiva del vecchio impero, i Giochi del Commonwealth.

Pochi giorni fa, tornando alla storia e alla gloria dei Bislett Games di Oslo, era inevitabilmente tornato in superficie l’approssimarsi del 50° anniversario del suo stordente record mondiale dei 10000: era il 14 luglio 1965 e in fondo a una galoppata solitaria (il britannico James Hogan finì a 1’40”), il limite venne polverizzato per 36”. Per meno di un mese Ron non è arrivato a queste magnifiche nozze d’oro ma è come se ce l’avesse fatta. E’ passato e passerà alla storia come un personaggio che sarebbe stato amato da Ernest Hemingway, da Sam Pechinpah e da tutti quelli che amano i perdenti che sanno essere invitti.

Ron aveva il ritmo, non aveva lo spunto. Sapeva stroncare ma poteva essere stroncato dalla variazione della cadenza, prerogativa degli uomini degli altopiani che si stavano affacciando sulla scena.

Pagò sempre di tasca sua e l’immagine che lo ritrae sul prato di Mexico City, la maschera ad ossigeno incollata al volto, è più eloquente di qualsiasi parola, di qualsiasi rivisitazione di quella gara spietata, di quella sfida sull’alta sierra. “Dell’ultimo giro non ricordo nulla, solo un grande buio”. Il lungo allenamento sulle Alpi non servì a niente: finì sesto, a 17” dal kenyano Naftali Temu che bruciò l’etiope Mamo Wolde e Mohamed Gammoudi. Il nome del tunisino ritorna in questo tuffo nel pozzo del passato: era con Mohamed che Ron, quattro anni prima, a Tokyo, aveva dato vita a un ultimo giro che da emozionante si era trasformato in stordente quando l’uno e l’altro erano stati infilati sull’ultimo rettilineo da Billy Mills,  per metà Sioux e sconosciuto ai più, squadra americana compresa. Quella medaglia di bronzo, insieme a una piccola collezione di secondi e terzi posti ai Giochi del Commonwealth, sarebbe risultato il suo magro raccolto.

Clarke, che diciannovenne accese il tripode di Melbourne ’56, lascia questo mondo con un patrimonio che risale a mezzo secolo fa e che risulta di una modernità sconcertante: quattro record del mondo dei 5000, sino a 13’16”6; tre record del mondo (uno ufficioso) sui 10000 sino a 27’39”4; 20,323 nell’ora, ripartendo queste meraviglie tra le piste di casa e gli anelli del nord Europa. Era nativo di Melbourne, stato di Victoria. In età ormai matura era andato a vivere con la moglie Helen sulla Gold Coast e per otto anni era stato sindaco di quella località di grandi spiagge e di sole forte. E’ stato un grande e sfortunato eroe della nostra giovinezza e la speranza è che commozione autentica traspaia da questo addio al vecchio re senza corone.



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