Un giorno, un'impresa
25 Febbraio 201325 febbraio
Per cominciare, non è il caso di sprofondare negli abissi dello spazio-tempo. Sufficiente concedersi un flash back di appena 12 anni, finire a bordo pista dell’impianto napoletano di Ponticelli, concentrarsi su un ragazzo che aveva un gran sorriso stampato sul volto buono, avvicinarsi alla pedana del triplo, vederlo rimbalzare - con stile approssimativo: l’hop step jump non era l’arte sua… – a 15,47, record italiano allievi. Quel ragazzo era – e continua a essere – Andrew Howe, calato nella piena freschezza dei 16 anni ancora da compiere, nell’adolescenza del suo talento lucido, cromato, quando sul suo conto e sulle imprese dalla Sabina venivano racconti che parevano leggende degne di un novello Ercole, di un aereo Mercurio. Andrew correva, saltava, scavalcava ostacoli con la disinvoltura degli dei, con la semplicità degli umani. Più tardi, in un’indimenticabile estate grossetana, diventò chiaro che nulla vi era di esagerato, di sottoposto alla dilatazione favolistica. E vennero gli anni delle gioie, delle delusioni, dei rimpianti che ancora oggi mordono come cani, delle resurrezioni, dei cedimenti, delle palingenesi, E ancora quel viso buono è tra noi. Come quel giorno a Ponticelli, quando, come un Puck, spargeva polvere fatata senza risparmio.
Giorgio Cimbrico
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