Un giorno, un'impresa
23 Marzo 201323 marzo. E’ la giornata che l’Onu ha dedicato a un aspetto che ha investito l’atletica in tutta la sua storia: la meteorologia. Disagevole, e al tempo stesso invitante perché arduo, provare a descrivere in poche righe le avversità che gli atleti hanno affrontato: il solleone spietato dell’inverno australe quando a Melbourne ’56 su quell’interminabile avenue Alain Mimoun ritrovò le condizioni del natio Nordafrica e per la prima volta piegò la resistenza dell’amico Emil Zatopek; la pioggia torrenziale che in un Trial di trent’anni fa non impedì a Carl Lewis di allungare l’elenco di vittorie di Larry Miricks che aveva saltato a pedana asciutta; il caldo opprimente di Atlanta ’96 che infiacchì e imperlò di sudore tutti meno Michael Johnson, asciutto come uscito da un essiccatoio quando stava per esplodere nel suo tonante 19”32; la neve che ha spesso accompagnato i trionfi kenyani quando il mondiale di corsa campestre (per i vecchi aficionados, il Cross delle Nazioni) era un grande appuntamento dell’inverno che stava per esaurirsi; la pioggia senza fine di Helsinki 2005, il Mondiale finito nelle tenebre e nel tambureggiare violento, a parte il giorno di luce quasi accecante regalato a Yelena Isinbayeva; il cielo azzurro e il sole pieno di Goteborg per il doppio mondiale di Jonathan Edwards; l’acida e ventosa primavera inglese nel giorno perfetto di Roger Bannister. Chi ha vissuto questi momenti, o a forza di studiare e ricercare crede di averli vissuti, prima dell’impresa, ricorda il teatro naturale che la accompagnò. La cornice più bella, più eloquente.
Giorgio Cimbrico
Condividi con | Tweet |
|
Seguici su: |