Un giorno, un'impresa

11 Aprile 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

11 aprile. E’ il momento di fare il bilancio delle prove di atletica, appena concluse alle Olimpiadi di Atene 1896. Per il barone Pierre de Coubertin, il solito entusiasta, è andata benissimo: gli allori che nei giorni della classicità toccavano agli ellenici della madrepatria e di un Commonwealth greco che si espandeva dall’Asia minore alla Calabria sono stati distribuiti ad atleti di tutto il mondo. Ma il livello tecnico è quel che è, modestissimo, legato a una partecipazione che non fu né ecumenica né governata da criteri precisi  di merito. Qualche esempio? Il record del mondo dei 100 era il 10”8 di Luther Cary ma al bostoniano Thomas Burke, più tardi avvocato e giornalista, fu sufficiente correre in 12”0 per aprire l’albo d’oro chiuso, per il momento, da Usain Bolt che, a occhio, avrebbe assegnato a Thomas almeno una ventina di metri di distacco.

Testimonianze attendibili sostengono che la pista dello stadio Panathenaiko fosse collocabile tra il brutto e il pessimo e che ovviamente i tempi ne abbiano duramente risentito. Burke, che fece doppietta imponendosi anche sui 400, si assicurò l’oro con un modestissimo 54”2 ma prima dei Giochi si era imposto a Edgar Bredin, che deteneva il record del mondo, in coabitazione con Henry Tindall, con un 48”5 sul quarto di miglio di ben altro significato e spessore.

Si gareggiò con regole improvvisate o imposte lì per lì, come nel lungo, che vide un giudice arbitro d’eccezione, il principe Giorgio di Grecia che proibì ai saltatori di piazzare dei riferimenti per la rincorsa. “Sono cose da professionisti”sentenziò. I salti consentiti erano tre e per Ellery Clark i primi due erano stati nulli. “5.000 miglia per arrivare sin qua e ora altre 5.000 miglia tornare. Con tre nulli”. Il salto invece risultò buono, a 6,35, e vincente visto che sino a quel momento comandava con 6,00 Robert Garrett che aveva già vinto peso e disco. Il record mondiale era 7,21 di J.J. Mooney. Anche de Coubertin, in privato, fu costretto a convenirne: le condizioni erano quel che erano ma il livello non era stato granché.

Giorgio Cimbrico



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