Una storia al giorno
04 Agosto 20134 agosto. Una finale dura: due centesimi tra la prima e la seconda e la terza giusto a un decimo. L’occasione per pescare a fondo nella gioia che attendeva solo di esser liberata. E così, quel pomeriggio ateniese di sedici anni fa Cathy Freeman si avvicinò e raccolse le sue bandiere, l’australiana e quella del paese che non c’è, la terra intersecata dalle vie dei canti, la patria di una delle più miti razze che popolino il pianeta: gli aborigeni. Aborigeno è una parola che incute soggezione, paura: fa pensare a selvaggi spietati, crudeli. E’ solo latino: quelli che dall’origine sono là, un abisso di tempo prima che sbarcassero i bianchi. Non proprio massacrati come gli indiani d’America in un genocidio che spesso dimentichiamo ma perseguitati, confinati, esclusi: oggi sono l’1% della popolazione. Quando all’esordio degli anni Settanta Evonne Goolagong si affacciò a Wimbledon e vinse, la sorpresa fu enorme. C’erano anche loro? Sì, c’erano anche loro.
Nel ’94 si affacciò anche Cathy, originaria del Queensland: vinse i 400 dei Giochi del Commonwealth e per la prima volta sventolò quella strana bandiera con un sole rosso, la striscia color deserto e il nero della tenebra spessa che cade laggiù, nel mondo alla rovescia. Il gesto non fu ben accolto. Ma Cathy non mollò: aveva ricordi personali, storie di famiglia che la spingevano ad andare avanti. Come quella di suo nonno, giocatore di rugby league: gli offrirono un contratto in Gran Bretagna ma gli aborigeni non avevano diritto a un passaporto. Erano sospesi tra l’ombra e il silenzio.
Cathy si caricò addosso il peso dell’allenamento e il desiderio di riscatto di un popolo: ad Atlanta diventò la prima della sua razza a conquistare una medaglia olimpica (argento, dietro a Marie José Perec) e un anno dopo venne il titolo mondiale di Atene dopo la lunga lotta con Sandie Richards e Jearl Miles e, subito dopo, la corsa leggera con quei due drappi.
Cathy stava vincendo la sua battaglia? Sì, ma qualcuno fu anche svelto ed abile a metter le mani su quei sentimenti, a manipolarli, a trasformarla nel simbolo ufficiale della riconciliazione finale che sarebbe stata celebrata a Sydney 2000. Toccò a lei accendere il braciere in una danza di fuoco e acqua e qualche giorno dopo a trascinare allo stadio 112.524 spettatori nella serata che fece registrare la terza più grande audience televisiva della storia australiana: davanti, solo la cerimonia d’apertura dell’Olimpiade e il funerale di Diana.
Provò a smontare la festa la britannica Katharine Merry che esalò l’ultimo respiro poco dopo i 300 quando Cathy, vestita come uno degli spermatozoi di “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso, ma non avete mai osato chiedere” di Woody Allen (unica differenza con il film di Woody Allen, il colore. quelli erano bianchi, lei era verde…), lanciò l’ultimo assalto che provocò un boato lungo e compatto, così potente da rendere quasi un bisbiglio quello che accompagnò il duello feroce tra Gebre e Tergat sui 10000. Si sarebbe ancora alzato altissimo quando, con lei sul podio, venne suonato Advance Australia Fair. Ora era l’inno di tutti gli australiani, aveva deciso qualcuno.
Giorgio Cimbrico
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