Una storia al giorno

02 Settembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

2 settembre. A partire da ieri, questi giorni saranno molto olimpici e molto romani. Per chi è vecchio, un bell’amarcord, per gli altri un omaggio di memorie che potranno sentire come loro. Per oggi sarebbe scontato dare il via alla ricostruzione del primo dei tre trionfi di Wilma Rudolph, che aveva alle spalle un passato di malattia, di miseria e di riscatto tale da assicurarle un posto nel Parnaso. La scelta, al contrario, è quella di una rivalutazione e di una domanda: come sarebbe trattata oggi dai media, dai new media, dai social network e da tutto quel repertorio di diavolerie Giuseppina Leone, la più grande velocista italiana di tutti tempi, l’unica azzurra a esser salita su un podio olimpico? La risposta rimane, per fortuna, nel grembo del tempo passato. Giuseppina ricevette le attenzioni misurate del tempo. Senza isterie.

Segno del destino, Giuseppina è nata nel dicembre del ’34 a Torino, che pochi mesi prima della sua venuta al mondo, aveva dato alla luce i Campionati Europei, al tempo solo maschili. Cinquantatre anni fa, anticipando l’impresa di un concittadino (ne parleremo domani), visse il suo giorno più alto, medaglia di bronzo nei 100, in 11”3 con vento favorevole misurato a 2,7, molto vicina a Dorothy Hyman, britannica dello Yorkshire (il crono elettrico ufficioso dice 11”43 a 11”48), e davanti alla sovietica Maria Itkina. Davanti, naturalmente, in 11”0 (11”18), la ragazza del Tennessee che in semifinale aveva eguagliato in 11”3 il record mondiale condiviso dall’australiana Shirley Strickland de la Hunty e dalla russa Vira Krepkina. Il pubblico dell’Olimpico e quello televisivo (che cominciava a farsi numeroso) iniziarono a innamorarsi di quella corsa, di chi sapeva esprimerla.

A 25 anni l’azzurra era alle sua terza Olimpiade: eliminata nei quarti dei 100 a Helsinki (quando aveva meno di 18 anni), quinta sia sui 100 che in staffetta a Melbourne, proprio in quel ’56 aveva firmato il record europeo in 11”4. Roma fu la sua vetta e il suo passo d’addio: sesta nei 200, dopo una curva troppo coraggiosa, quinta nella 4x100, in compagnia di letizia Bertoni, Sandra Valenti e Piera Tizzoni a un secondo appena abbondante dalle Tigerbelles guidate dalla solita, magnifica Wilma, decise che poteva finire lì. L’amore con Mario Paoletti, buon quattrocentista e dirigente Fiat, ebbe un ruolo determinante nella scelta e nell’addio.

Giorgio Cimbrico



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