Una storia al giorno
21 Settembre 201321 settembre. Dicono che le comete annuncino sventura. Flo Jo fu una cometa e annunciò sventura. La sua: quella di Florence Griffith maritata con Al Joyner (oro nel boicottato e mutilato triplo di Los Angeles ’84), così veloce da lasciar questo mondo prima di raggiungere i 39 anni.
Capita come nelle prime sequenze di “Citizen Kane”, il capolavoro di Orson Welles. Chi era Flo jo, la donna bionica (per muscolatura, definizioni, volto mutato, voce che sembrava rimbombare in una caverna), la fatalona meccanica che, inaugurando una moda, per prima concesse generose porzioni di pelle al vento e al pubblico, che disegnò body sfacciati senza mai far scandalo, come se i cambiamenti a cui si era sottoposta l’avessero trasformata in una replicante dalle modeste capacità eccitanti? Chi era la donna che concepì e costruì e offerse i record che hanno resistito e resistono e chissà quanto resisteranno? “Una donna che sprigionava la voglia di cogliere tutto ciò che la vita poteva offrirle. E’ molto triste che probabilmente abbia pagato con la vita questa sua spregiudicatezza”, fu l’elogio funebre di Carlo Vittori, gran maestro dello sprint.
Parole che appena nascondono gli interrogativi da sempre appuntati su questa californiana settima di undici figli, dalla pelle di luna, dagli enigmatici occhi orientali o forse donati da sangue nativo, con un quarto di sangue irlandese nelle vene, che nel turbinoso volgere di poco più di settanta giorni, dal 16 luglio al 29 settembre 1988, cambiò il volto della velocità, conquistò tre medaglie d’oro ai Giochi di Seul maledetti e sospetti, sfiorandone una quarta con una poderosa frazione da 48” nella 4x400, che lasciò tutti di stucco nel febbraio che seguì, quella della confessione di Ben Johnson, annunciando l’addio a 29 anni.
E agevole circoscrivere la vita terrena di Flo Jo dentro questa parentesi di gloria, lo stesso racchiuso periodo che si trasformò in ascesa e caduta luciferina di Big Ben. E’ facile, è comodo far focus su quella donna con il sorriso della Gorgone (le altre, dietro, lontano, pietrificate), dai muscoli pronunciati, dalle piastre robuste che avevano sostituito il seno e così il ricordo cambia direzione, va verso un’altra Flo, quella che d’estate calava con il gruppo delle rondini americane. Era la troupe che si spostava come un Barnum, un meeting dopo l’altro, un aereo dopo l’altro. C’era anche questa ragazza che ricordava Cher, con unghie inverosimili (Gail Devers portò poi la moda a estreme conseguenze), dipinte con smalti che inviavano barbagli alla notte. Non era la stella, correva in 11”10 o giù di lì, prima di progredire, erodere il muro degli 11”, avvicinare quello dei 22”, approfittare delle condizioni favorevoli offerte da Los Angeles, spogliata dalle sovietiche e soprattutto dalle Ddr: argento dietro la feroce Valerie Brisco-Hooks.
Ancora domande, come in un’inchiesta, come in un’indagine. E’ in quel momento che Florence diventa Flo, un nome breve come un soffio di corrente? No, la metamorfosi è di un paio di stagioni dopo, in fondo al ritorno alla vita di tutti i giorni: otto ore in banca, una mano alla mamma che ha aperto un salone di bellezza. Incontra Al e Jackye Joyner, allenati da Bob Kersee. Sposa Al e diventa cognata della più formidabile tuttofare della storia (“detto con rispetto, a me sembrano due scimmione” disse di loro l’apollineo ottocentista brasiliano Joaquim Carvalho Cruz) e capisce che i metodi di Bob possono portarla lontano. Quanto lontano? Sufficiente rileggere la sua scheda personale, scoprirla migliorata a 10”96 e a 21”96 nel 1987 (seconda nei 200 e prima nella 4x100 ai Mondiali di Roma) e spalancare il libro delle meraviglie alle pagine segnate con la data 1988. Un quarto di secolo è passato.
Indianapolis, Trials per formare la squadra americana per Seul: il record mondiale dei 100 è il 10”76 dell’aggraziata texana Evelyn Ashford, quattro anni prima al Letzigrund in fondo a un memorabile testa a testa con Marlies Goher, detta miss Alte Frequenze, uno di quei gran duelli che Res Brugger sapeva mettere in cartellone. Il 16 luglio, quarti di finale, Flo Jo vola in 10”49 e diventa la figlia del vento aprendo un doppio canale di analisi. Oltre ad apparire diversa, trasformata, potente, ha avuto una buona spinta da una brezza che, a palmi, considerata quella che spirava sulla pedana del triplo, appare oltre la norma dei due metri al secondo. Sui verbali appare come nullo e lo studio successivo di un fisico australiano, il dottor Nicholas Linthorne, che calcolerà in 5,5 il vento di coda, non cambierà le carte in tavola. 10”49 è sconvolgente: un generoso cronometraggio manuale di un tempo le avrebbe attribuito il record di Owens, 10”2, e in effetti le misurazioni di controllo (sempre in servizio, in caso di panne dei circuiti) danno 10”3, 10”3 e 10”4. Il giorno dopo scende in pista altre due volte: 10”70 in semifinale, 10”61 in finale, con una spinta favorevole tra 1,6 e 1,2. Una Ashford ai massimi livelli (10”81) prende due metri tondi.
E’ la prova generale per i suoi giorni d’oro e fuoco a Seul. Quattro apparizioni sui 100: 10”88, 10”62, 10”70 e 10”54, gli ultimi due tempi con vento oltre la norma. Ashford, esprimendosi ancora vicina al suo top, accusa 29 centesimi e Heike Drechsler è terza a 31. Quattro giorni dopo, il 29 settembre, in semifinale, dà una prima scossa al record mondiale dei 200 (21”56, contro il quadruplo 21”71 di Marita Koch e Drechsler tra il ’79 e l’86) prima di sottoporlo, cento minuti dopo, a totale revisione: 21”34, con passaggio ai 100 in 11”18 e seconda parte in 10”16, regalando un largo e beffardo sorriso e arrivando a braccia sventolanti. “Il segreto dei tuoi progressi?”, gli venne domandato nella solita oceanica e sudata conferenza stampa. “Dai, Florence, dillo”, la invitò Ashford, stirando un sorriso. “Un grande lavoro e il desiderio di vincere i Giochi Olimpici”, fu la versione che offerse. Pochi mesi dopo, l’addio. “Voglio correre la maratona” “Voglio dedicarmi alla moda”. “Scriverò fiabe”. Dieci anni dopo, la morte. Per una crisi epilettica che l’ha soffocata durante il sonno, per una malformazione cerebrale che nessuno aveva mai riscontrato. Il mistero l’ha resa una Black Dahlia. Al Joyner la pianse e si infuriò con chi aveva insinuato che in quei miracoli, in quella fine, il doping avesse avuto parte e influenza.
Non l’ha più avvicinata nessuna ed è sufficiente scorrere i tempi di chi l’ha seguita sul trono olimpico: Gail Devers 10”82 e 10”94, Marion Jones 10”75 (ma poi si è visto che fine ha fatto: spogliata di tutto e finita pesino in galera per spergiuro davanti a una corte federale), Yulia Nesterenko 10”83, Shelly Ann Fraser 10”78. I 200 non meritano nemmeno questo excursus: ancor oggi un’incursione sotto i 22” è salutata con esclamazoni di sorpresa. A dire il vero che non l’abbia avvicinata nessuna non è esatto: ora è il tempo di tempo di Carmelita Jeter, detta ovviamente Jet, californiana come Flo, capace di scendere nella stagione dei 30 anni a 10”64 (due anni fa era a 11”02…), di alzare il sipario sull’eterna rappresentazione dei dubbi, dei sospetti.
Giorgio Cimbrico
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