Una storia al giorno

01 Novembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

1 novembre. I casi offerti dal tempo e dall’intrecciarsi del caso. Ieri abbiamo parlato di Mel Pender, militare che accettò le regole e mai pensò ad infrangerle. Nello stesso anno, il 1937, a poche ore di distanza dal piccolo velocista, venne al mondo chi le infranse tutte: Tom Waddell, uno dei profeti della riscossa gay e uno dei primi a cadere sotto i colpi di quella che qualcuno ha chiamato la peste del finire del XX secolo, l’Aids.

Nella squadra americana a Mexico City, uno dei gruppi più eterogenei che siano mai stati formati, c’e anche lui, medico e paracadutista che si era rifiutato di andare a combattere in Vietnam e che, bianco, aveva partecipato alle marce di Selma per i diritti civili. “Pensavo che sarei finito davanti a una corte marziale e invece mi lasciarono andare alle Olimpiadi. Avevo ottenuto un posto nel decathlon”. Tom (vero cognome Flubache; Waddell è quello della famiglia che lo adottò dopo la separazione dei suoi) come multiplo non era male: la lunga fatica la cominciarono in 33 e lui finì sesto, con un’eccellente prima giornata in cui saltò 7.47 e 2,01. Nella seconda gli riuscì bene l’asta, 4,50: solo il gigantesco tedesco Kurt Bendlin fece meglio di dieci centimetri. L’oro finì nella mani di Bill Toomey che era capace di avvii folgoranti, offerti puntualmente anche ai Giochi: 10”4, 7,87 e 45”6 farebbero gola anche agli specialisti di oggi.

Waddell tornò alle Olimpiadi nel ‘76, come responsabile medico dell’Arabia Saudita. Fu in quel periodo che ebbe la folgorazione: uscire allo scoperto – coming out, come usa dire oggi – e fare qualcosa per la comunità a cui apparteneva. La piccola associazione gay di bowling che aveva fondato a san Francisco non poteva bastargli. E così nel 1982 videro la luce i Gay Olympics, finiti in un’interminabile querelle con il comitato americano che riuscì a bloccare la parola “Olympics”. “E’ un marchio registrato”, dissero. “Per altri eventi non avete avuto niente da eccepire”, rispose con un sorriso Tom.

E così furono ribattezzati Gay Games, ebbero un grande successo e Tom, il de Coubertin degli omosessuali, fu uno dei protagonisti, anche quando il virus dell’Hiv gli era stato diagnosticato. Il suo testamento fu la medaglia d’oro nel giavellotto, nell’86, un anno prima di una morte che accolse con disinvoltura: “Bene, deve essere qualcosa di interessante”. Doveva ancora compiere 50 anni. Ha lasciato una figlia, Jessica, nata dall’unione con un’atleta lesbica, Sara Lewinstein che sposò prima di scomparire. Un gesto all’apparenza normale in fondo a una vita unica.

Giorgio Cimbrico



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