Una storia al giorno
03 Novembre 20133 novembre. La data di nascita di John Baxter Taylor (l’anno è il 1882) è la chiave per aprire un forziere di storie. Innanzitutto, John è il primo afroamericano oro olimpico, capace di aprire una grotta ricca di tesori per gli Usa. La data è il 25 luglio 1908, allo stadio londinese di White City, quartiere di Sheperd’s Bush, quando la staffetta del miglio statunitense lasciò a tre secondi la Germania. Giusto precisare che al tempo la distanza era scomposta in due frazioni di 200, una di 400 e una di 800 metri: Taylor corse la terza in un tempo stimato di 49”8. Era nato a Washington da una famiglia di “liberi”, aveva studiato Medicina e Veterinaria all’Università della Pennsylvania ed era stato accolto dal più prestigioso club dell’epoca, l’Irish Athletics di New York, di cui fece parte anche Emilio Lunghi durante le sue avventure americane e canadesi. “Il miglior negro in circolazione”, scrivevano di lui i giornali quando il termine era ancora disinvoltamente usato e destinato a tener duro a lungo. Dalla Gazzetta dello Sport dell’estate 1936: “Il negro Jesse Owens vince anche i 200”.
Tre giorni prima, la storia dei giovani Giochi era stata turbata da un violento conflitto tra britannici e “coloniali” americani. Il casus belli fu la finale dei 400: l’avevano conquistata tre americani – Taylor, William Robbins e John Carpenter – e Wyndham Halswelle, scozzese che, giovanissimo, si era segnalato per valore nella guerra Anglo-Boera nelle fila della Highland Light infantry e in pista per la sua raffica di successi ai campionati del suo piccolo paese: neppure il leggendario Eric Liddell seppe vincere 100, 220, 440 e 880 yards in un pomeriggio.
Temendo il gioco di squadra dei Curiazi americani contro il solitario Orazio britannico, giudici di casa furono disseminati ogni venti metri creando un clima di attesa e di sospetto. A Robbins toccò tener alta l’andatura prima che Carpenter e Halswelle lo passassero a metà gara. Taylor seguiva la coppia di testa. A questo punto lo scozzese provò a passare all’esterno, venne ostacolato da Carpenter, uno dei giudici tuonò “Fallo” e un altro paio corse a rimuovere il filo di lana. No race, gara annullata. Per almeno mezz’ora, quel che usando un eufemismo può esser etichettato come parapiglia. A Taylor toccò essere preso di peso e trasportato fuori pista.
La decisione venne di lì a poco. La finale sarebbe stata ripetuta tre giorni dopo. Gli americani si rifiutarono di interpretare il remake e Halswelle, caso unico nella storia olimpica, diventò campione olimpico in fondo a una gara solitaria, chiusa in 50”0. Ritenne la vittoria così amara da lasciare l’atletica e dedicarsi anima e corpo alla carriera militare.
Il finale di partita fu tragico per due degli interpreti di quei giorni di fuoco. Taylor morì di tifo quattro mesi dopo, a 26 anni, quando stava per aprire il suo studio medico; Halswelle cadde colpito da un cecchino nel marzo del 1915 a Neuve Chapelle, Fronte Occidentale.
Giorgio Cimbrico
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