Una storia al giorno

10 Gennaio 2014

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

10 gennaio. Edwin Flack, scomparso 79 anni fa, è vissuto all’epoca di Banjo Paterson, poeta, giornalista, soldato, autore di Waltzing Matilda, inno non ufficiale dell’Australia. Anche Ted, a suo modo, ha scritto un inno. Al giovane sport australiano (che già intratteneva solidi rapporti con l’Inghilterra nel rugby e nel cricket) e ad un’epoca che non si ripeterà più, lieve e generosa, ricca di un entusiasmo disinteressato. Flack era nato nel Middlesex ma all’età di cinque anni era emigrato nello Stato di Victoria. Apparteneva a una famiglia di stampatori e venne mandato a far pratica a Londra come contabile. Quando venne a sapere che nell’aprile 1896 in Grecia organizzavano cosiddetti Giochi Olimpici chiese e ottenne un mese di ferie: la versione cinematografica proposta da First Olympic (studi a Oxford abbandonati) è del tutto erronea, come è capitato anche in Momenti di Gloria. Il viaggio avvenne sulla direttrice seguita al tempo dai documenti diplomatici imperiali, la Valigia delle Indie: treno da Londra a Brindisi e nave per il Pireo. Il piroscafo della P&O, Peninsular and Oriental, proseguiva il suo viaggio per Bombay attraverso Suez e Aden.

Edwin, che era stato iscritto ai Giochi dal London Athletic, arrivò un po’ provato dal mal di mare ma non ebbe difficoltà a superare le batterie degli 800 che corse in 2’10”. Attendendo la finale, mise le mani sulla sua prima medaglia d’oro, nei 1500, offrendo un bel serrate che travolse il favorito, l’americano Arthur Blake. Il tempo fu assai modesto, 4’33”2, così come il 2’11” che due giorni dopo lo rese il primo doppiettista della storia nel mezzofondo veloce. “Già che sono qui, vedo di combinare qualcos’altro”, si disse con l’atteggiamento tipico di quell’epoca, lo stesso che portava alpinisti alle prime armi a dar l’assalto a vette che non avevano programmato o esploratori a cambiar rotta e ad avventurarsi su nuovi fiumi o in jungle ancora vergini. Per lui fu l’avventura nella maratona (sino a quel momento non aveva mai corso per più di 10 miglia) che condusse a lungo prima di averne abbastanza, stroncato dalla fatica e dalla strada infame, dopo 35 chilometri e lasciando via libera alla leggenda di Spiridon Louis. Non ancora pago, si iscrisse al torneo di tennis, venne eliminato al primo turno in singolare, ma nel doppio, in compagnia del’amico scozzese George Robertson (con cui aveva affittato una casa nel cento di Atene) giunse in semifinale e conquistò una virtuale medaglia di bronzo.

Quando tornò in Australia, due anni dopo, non gareggiò più e in seguito si dedicò all’allevamento di mucche frisone. Molti anni dopo la sua morte, toccò a John Landy, meraviglioso miler e governatore dello stato che ha Melbourne come capitale, scoprire una statua in suo onore e dar l’avvio al progetto di un grande complesso sportivo con pista e ovale per le aussie rules che porta il suo nome, quello del primo australiano d’oro. Avrebbe meritato una poesia di Banjo Paterson, suo contemporaneo.

Giorgio Cimbrico

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