Una storia al giorno
22 Gennaio 201422 gennaio. La versione reale di un magnifico racconto di Rudyard Kipling, “L’uomo che fu”, la storia di un cavalleggero inglese che sparisce sulla frontiera nord dell’India, viene dato per morto, riappare ma ha solo poco tempo per far raccontare gli anni vissuti nella sofferenza. Qui di solido c’è una data di nascita, il 22 gennaio 1885 e di incerto quel punto d’interrogativo stampato accanto al momento della dipartita. Al contrario del povero ufficiale finito prigioniero delle truppe dello zar, Harold Allan Wilson non tornò mai indietro per narrare qualcosa di sé. Caduto sul Fronte Occidentale nel 1916? Si pensava fosse andata così per l’omino che veniva dal Lincolnshire, il primo della storia sotto i 4’ nei 1500. Sino a quando… Meglio non anticipare e andare avanti con ordine.
Il 1908 sorride a Harold: il 30 maggio, lo stadio di Sheperd’s Bush fa le prove generali in vista dell’Olimpiade ospitando le selezioni britanniche e Wilson vince i 1500 in 3’59”4/5, giusto un soffio sotto la barriera e con terribile schiaffo assestato al record mondiale (4’05’2/5) dell’americano James Lightbody, tre volte d’oro a St Louis 1904. Un mese e mezzo dopo, è tra gli otto della finale olimpica, ammessi dopo cervellotica decisione dei giudici: dentro, solo i vincitori delle batterie, senza badare ai tempi ottenuti. Un esempio? Wilson corse il turno eliminatorio in 4’11”4, Emilio Lunghi in 4’03’8, secondo miglior tempo registrato tra i 43 concorrenti, ma, battuto da Norman Hallows, venne eliminato. In finale Wilson partiva da favorito ma venne infilzato nel finale e piegato per un paio di decimi da Mel Sheppard che avrebbe conquistato anche gli 800 (su Lunghi) e dato una mano – anzi, due gambe - al successo della 4x400 degli Stati Uniti, la prima staffetta del miglio corsa in ambito olimpico.
Poco dopo, sia Lunghi che Wilson varcarono l’Atlantico, trovarono collocazione nell’Irish American, il club più prestigioso dell’epoca, gareggiarono su una grande varietà di distanze e meritarono ampie citazioni sui giornali dell’epoca. Emilio tornò a Genova, Harold continuò a girovagare, saltò il fosso qualificandosi come professionista e andò a battere i circuiti australiano e sudafricano. Allo scoppio della guerra, si è sempre detto, tornò in patria, si arruolò e scomparve, a 31 anni, nella grande carneficina delle Fiandre. Ma nel 1920, ai Giochi di Anversa, piombò come un fulmine la testimonianza di Mick Terry, allenatore della squadra sudafricana: “Harold è’ vivo, sta bene e abita a Durban. Era andato in Africa Orientale per arruolarsi ma l’hanno riformato (capitò anche a Sheppard quando fece domanda per entrare nella polizia di New York). Se figura nella lista dei caduti, è perché lo hanno confuso con qualcun altro”. In effetti, nome e cognome sono piuttosto comuni e sono stati anche quelli di un Primo Ministro laburista degli anni Sessanta e Settanta. Terry non aveva interessi a raccontare balle e soprattutto conosceva bene Harold: gli aveva fatto da manager durante la sua attività pro in Sudafrica. Da quelle rivelazioni, le indagini non hanno fatto progressi e Harold si è trasformato nell’uomo che fu dell’atletica.
Giorgio Cimbrico
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