Una storia al giorno

28 Gennaio 2014

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

28 gennaio. Anche gli uomini di ferro muoiono quando vengono assaliti da uno sciame di cellule impazzite. Iron Man of Asia era il soprannome di Yang Chuan-kwang, il taiwanese scomparso sette anni fa, uno dei protagonisti del faccia a faccia nel decathlon olimpico di Roma ’60. L’altro era un amico, un compagno di allenamenti: Rafer Johnson. Anticipare il finale significa ricorrere alle magnifiche parole scandite dal pubblico dell’Olimpico: “Date la medaglia d’oro a tutti e due”. In una foto diventata storica, Rafer, distrutto dalla fatica, appoggia la testa sulla spalla destra di Yang. L’immagine della fraternità. Nella foto non appare Ducky Drake, il vero trionfatore: li allenava tutti e due.

Yang apparteneva all’etnia Ami, uno dei tredici gruppi che abitavano Taipei prima della penetrazione cinese. Figlio di un commerciante di riso, dopo un viaggio in Usa aveva deciso di stabilirsi in California, alla Ucla. Era forte nelle corse, fortissimo nei salti (fu brevemente primatista mondiale indoor con 4,96 e chiuse la carriera con 5,00), se la cavava nei lanci. Rafer, texano di nascita, aveva i suoi cavalli di battaglia negli ostacoli e quando si trattava di scagliare qualche attrezzo. Un fisicone, e così Kirk Douglas gli aveva dato la parte di Draba, il gladiatore nero che decide di non accoppare Spartacus, ma la AAU minacciò che, fosse finito nel cast del film diretto da Stanley Kubrick, avrebbe squalificato Johnson per professionismo. Altri tempi. E così nel formidabile kolossal finì per avere spazio Woody Strode, uno dei primi neri ad esser stato accettato nella Nfl. Un fisicone anche lui.

Entrambi avevano assaggiato le Olimpiadi a Melbourne: Johnson secondo, Yang ottavo. A Roma diedero il via al derby della Università della California attraverso due giorni sotto il sole e la pioggia e con una prima tornata di gare che si chiuse alle 23. Yang vinse quattro prove su cinque (con 7,46 nel lungo) ma i due metri e mezzo accusati nel peso spedirono l’americano avanti di 55 punti. Il tempo per il riposo fu brevissimo: alle 9 del 6 settembre in campo per i 110hs e per quella che poteva apparire una drammatica svolta: Rafer – un record personale a 13”9 – chiuse in 15”3, sette decimi dietro Yang. La sfida era apertissima ma il morale di Johnson non crollò come un indice di borsa al tempo della crisi: affibbiò al rivale dieci metri nel disco, tamponò nell’asta (4,10 contro 4,30, quota modesta per il campione di Taipei), sfiorò i 70 metri di giavellotto mentre Yang non raggiunse i 60. Prima dei 1500, 67 punti di margine.

Drake, che giocava su due tavoli, consigliò Rafer di non mollare i talloni di Yang e disse a Yang di tener alto il ritmo per guadagnare un buon margine su Rafer e difenderlo nell’ultimo giro. Fu il primo scenario ad avere la meglio: Johnson si asfissiò, riuscì a contenere in cinque metri il distacco, firmando il suo record in 4’49”7 prima di stramazzare e mantenere 58 punti su chi conquistò un argento molto dorato.

Giorgio Cimbrico

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