Una storia al giorno

05 Febbraio 2014

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

5 febbraio. Nella vita infinita di Fabrizio Donato (prime tracce nel ’93, quando da interessante 17enne saltò 14,36: Daniele Greco, all’epoca, aveva 4 anni…) abbiamo finito per scegliere questa data, dell’annata 2006, quando ad Ancona il laziale si impossessò anche del record italiano indoor. Quel 17,33 rappresentava un piccolo (giusto un centimetro) e grande progresso sul limite di Camossi: con quella misura Paolino aveva piegato Jonathan Edwards meritando l’abbraccio del gentleman britannico e conquistando il titolo mondiale al coperto. Fabrizio era padrone all’aria aperta dalla stordente serata milanese del 7 giugno 2000 quando i canguri si erano trasferiti nell’emisfero azzurro: 17,60 lui, 17,45 Paolo.

Gli anni sono scorsi nella clessidra e Fabrizio continua ad esserci: a metà agosto, gli anni saranno 38. Di addio non si parla ed è logico sia così. E’ da maturo e da veterano che ha raccolto il meglio: nell’anno dei 33, il titolo europeo indoor a Torino; in quello dei 35, l’euroargento, domato solo dal gommoso Teddy Tamgho; con i 36 molto prossimi, prima la corona europea all’aperto, a Helsinki, e poi il bronzo olimpico a Stratford, periferia sud-est di Londra. Dopo una vita passata a raccoglier poco, è passato all’incasso, sino ad affiancare uno dei numi della nostra storia: Giuseppe Gentile, il Giasone di Mexico City, quando il triplo conobbe il suo ’68.

Siamo andati a dare un’occhiata agli appunti di quella serata londinese, la stessa della luce violenta fatta brillare da David Rudisha rinvenendo Will Claye che va a stringere la sua Bibbia rilegata in pelle nera. Il Signore in effetti lo aiuta: 17,54 per prendere la testa. Daniele Greco è 20 cm indietro, Donato - rincorsa infinita, volontà di non avvertire dolore al tendine d’Achille - ha il viso deciso di chi sa di potersi giocare chance pesanti e inizia una serie in crescendo: 17,38, 17,44, 17,45, 17,48, Sempre dietro all’aspirante predicatore, sempre davanti a Christian Taylor che ha sparato due salti lunghissimi ma nulli e comincia a essere preoccupato. Taylor viene da un’università della Florida dove gli studenti sono chiamati Gator, alligatori. Prima di cedere, qualche morso vuol tirarlo. Alla terza, 17,15, per non tornare nel ventre dello stadio con il marchio dei tre nulli.

Salti di finale: Taylor, originario di Barbados, offre il suo rimbalzare leggero, senza aggredire la gomma, radente: 17,81. Nulla da stupirsi: ai Mondiali di di Daegu era andato a occupare un posto tra i primi dieci di sempre, con un infinito 17,96. Donato ha esaurito le munizioni: l’ultimo è un assalto interrotto. Terzo. Greco, che ha 13 anni meno di lui, quarto. “Ero quello dell’inverno, delle medaglie conquistate al coperto. E questa era la quarta Olimpiade: non è il caso di tornare sulle altre. E’ andata sempre male”. Le poche parole finirono sul quadernino e lì sono rimaste: la confessione di chi non si è mai arreso e ha avuto la ricompensa. Una lunga storia con una morale.

Giorgio Cimbrico

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