Una storia al giorno
13 Febbraio 201413 febbraio. Trentun anni fa, in una giornata di neve, che a Genova è sempre una cosa rara, Pietro Mennea aveva qualche linea di febbre. Corse al Palasport in un micro-meeting organizzato per lui e stabilì il record del mondo indoor in 20"74. Da più di tredici anni era il padrone di quello all'aperto. Quando si approssimava il trentesimo anniversario del suo volo messicano, l'ho inseguito al telefono e finalmente sono riuscito a placcarlo: Pietro era sempre molto occupato. L'altro giorno, scorrendo l'indice sul pc, mi sono imbattuto nell'intervista e così ho deciso di offrirla per quello che è. E' un modo per sentirlo ancora vivo, tra di noi. Può procurare dolore, ma non è straziante. A questo punto non resta che cominciare.
Seconda metà dei 200 berlinesi di Usain Bolt, 9"27; seconda metà dei 200 messicani di Pietro Mennea, 9"38. Undici centesimi, un decimo. Non un abisso, non una luce violenta di distacco. Con una precisazione: tra i due record mondiali corrono trent'anni che in atletica sono almeno un paio d'ere. O tre. E tra qualche giorno, sabato 12 settembre, è giusto il trentesimo anniversario del record mondiale in quota del campione che venne chiamato la Freccia del Sud: 19"72. Durato 16 anni e nove mesi, tuttora record europeo, ancora in grado di collocare Pietro tra i dieci più veloci della storia. Ottavo. Mennea, sul lanciato andava proprio forte. "Era per via dell'allenamento. Nessuno ha mai lavorato come me. Tanto e bene". Quel giorno, il vertice. "Diciamo pure così, ma le condizioni non erano eccezionali: avevo già gareggiato parecchio, prima e durante le Universiadi . La pista era liscia, senza granulosità: non riuscivo a morderla. E gli avversari non erano granchè: il secondo finì a cinquanta centesimi abbondanti". Distacchi alla Bolt. "Più o meno".
Comunque, uno sguardo al tabellone e... "Uno sguardo al tabellone lo diedero quei giornalisti italiani che erano arrivati in ritardo per via del traffico. E qualcuno prese quel 19"72 per l'indicazione di un orologio un po' svitato". E lei? "L'ho detto: non ho guardato e mi sono accasciato. Aspettavo la reazione del pubblico, l'applauso. Venne l'una, venne l'altro". Carlo Vittori, il suo allenatore, ha sempre detto: "Fossimo tornati lassù un anno dopo, Pietro avrebbe tolto qualcosa a quel record". "Lo penso anch'io". Dica una cifra. "19"60 e spiego il perché: dopo la vittoria ai Giochi di Mosca, un'infilata di vittorie con tempi pazzeschi, con una padronanza assoluta, con una forma perfetta. Ricordo tutto: il viaggio verso Pechino, la gara dopo poche ore, la distanza bruciata in 20"03. Quando sono andato a dare un'occhiata al photofinish, non credevo ai miei occhi: il macchinario aveva inquadrato solo me. Il secondo? A dieci metri".
I mesi più belli. "Direi gli anni più belli. Prendono il via con la delusione di Montreal '76, quarto, un passo indietro rispetto a Monaco '72 quando a vent'anni presi il bronzo. Buio, delusione? No, cose che capitano. Ha visto Yelena Isinbayeva a Berlino? Tre nulli e dieci giorni dopo il record del mondo. Funziona così: scuotersi. Una settimana dopo Montreal, corro a Viareggio in 20"23, il tempo della vittoria olimpica di Donald Quarrie". Ricominciare, sempre.
"C'era la volontà di andare avanti, di cercare nuove sfide: la prima coppa del mondo, nel '77, gli Europei di Praga, nel '78, con l'accoppiata 100-200, il Messico e il record del mondo, l'oro di Mosca. Quando guardo indietro, mi stupisco". Di quel che ha fatto? "No, di tutti quelli che ho finito per affrontare: generazioni intere di sprinter. E chissà perché il primo che mi viene in mente è il cubano Montes. Io ero un ragazzo, lui era uno da 10"0. A seguire, Borzov, Edwards, Williams, Riddick, Taylor, Black, Wells, Ray. Cito così, senza un vero ordine. Sono arrivato a gareggiare con Carl Lewis, capisce?"
E a Helsinki '83, primi Mondiali, bronzo sui 200 e argento in staffetta a 31 anni. "Non c'era solo Mennea: l'Italia aveva i velocisti". Ora non c'è molto. "Una premessa: assolvo gli atleti. La verità è che ci troviamo di fronte a un modello sportivo sorpassato, obsoleto, per di più ad alti costi. Vado a ruota libera: lei sa che la Giamaica usa l'atletica per tener lontani dalla criminalità e dalla droga i giovani? Se poi uno diventa forte tanto meglio. Lei sa quanto mette a bilancio la Francia per lo sport? Duecento milioni di euro, un terzo dell'Italia. Noi ormai siamo come un vecchio paese dell'est: lo sport in mano ai corpi militari che, a palmi, avranno un migliaio di tesserati. I migliori. Così non si va nessuna parte. D'altra parte, è il paese che non va da nessuna parte. Qui non funziona più niente". Stia fermo sui blocchi: chi analizza, rischia di passare da sovversivo.
Cambiamo rotta: oggi il mondo è abbagliato da Usain Bolt. "E' un fenomeno, è eccezionale ma non è un marziano. Mi sono trovato ad affrontare giganti del genere: uno era Larry Black, l'altro era Steve Williams. La scoperta di altri come Bolt è solo questione di tempo, di impegno, di ricerca. Il Caribe è una fabbrica di talenti ma qualcuno ha ancora esplorato a fondo l'Africa?". Bolt ha tutte le chance per poter aspirare alla triplice corona, diventando anche primatista mondiale dei 400 e scendendo sotto i 43" ma sembra voler rinunciare all'opportunità. O rimandarla. "Ha ragione. Deve concentrarsi sui 100 e sui 200 e continuare su quella via sino a Londra 2012. Avrà 26 anni e dopo potrà imboccare nuove direzioni".
L'anniversario di Mexico è sempre più vicino. "A Formia mi daranno la cittadinanza onoraria: è su quella pista, in quella scuola, che ho costruito le mie vittorie e quel record. A Salerno una nave della Msc farà tappa per festeggiarmi. Sto per presentare il mio libro "19.72, il record di un altro tempo". E a Roma, alla Terme di Caracalla, il 22 settembre organizzano un festival sui 200: tutti in pista, dai ragazzini ai veterani". Correrà anche Mennea? "Mennea non corre più anche se è tornato su accettabili limiti di peso. Mennea studia, lavora, viaggia, tutto a favore dell'atletica, dei suoi valori. Mi chiamano nelle scuole (presto farò un salto anche a Genova), ho una fondazione, scrivo. Ho corso in cinque Olimpiadi e ho cinque lauree: Isef, legge, scienze politiche, lettere e scienze motorie. Qualche volta mi trovo a pensare che avrei potuto fare qualcosa di più, ma il bilancio è positivo". Potrebbe puntare a diventare presidente della federazione. "No".
Giorgio Cimbrico
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