Una storia al giorno

19 Febbraio 2014

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

19 febbraio. Oggi, avvicinandoci al traguardo dei 365 giorni passati a cercare vicende poco note o a ripercorrerne di note, aria di saldi, di offerte speciali. E così, due storie invece di una. La prima è italiana, legata alla data di nascita di Oscar Raise da Gassino Torinese che oggi compie 62 anni e che proprio in un altro giorno griffato con il 19 (settembre 1979, a Bologna) divenne uno dei protagonisti di una delle più clamorose gare della nostra atletica. In formato ridotto, come a Sacramento ’68 quando i record del mondo dei 100 si sprecarono.

Il limite italiano del salto in alto era stato portato a 2,26 da Massimo Di Giorgio il 20 maggio a Udine anche se è bene precisare che la stessa quota era stata valicata in inverno, a Genova, da Bruno Bruni, friulano come Massimo e ultimo buscadero (sono i cowboy che domano i tori giganti) dello stile ventrale. A quel tempo non era ancora stata codificata la parità delle condizioni in cui un primato veniva ottenuto. Quella sera a Bologna fu Raise ad affrontare per primo 2,27 e a superare l’asticella: erano le 21,46. Alle 21,52 toccò a Di Giorgio e alle 21,59 a Bruni, ed è in questo ordine che i tre moschettieri appaiono nella cronologia di un record che tenne duro otto mesi, quando Paolo Borghi salto 2,28 e strappò la triplice corona per mettersene una in testa. Il tema dei tre uomini al comando è tornato d’attualità proprio in questi giorni con il 2,33 di Marco Fassinotti, andato a eguagliare Silvano Chesani e l’… antico Marcello Benvenuti che si avvia a festeggiare il quarto d secolo della sua impresa.

L’altra storia è americana, molto americana, ed è alla memoria di Oliver “Ollie” Matson, scomparso tre anni fa. Ollie era un gran running back e giocava per l’Università di San Francisco. All’esordio degli anni Cinquanta provò sulla sua pelle l’intolleranza: due università del sud non accettarono di giocare con i californiani che schieravano neri. Anzi, negri. Matson decise di tornare a dedicarsi per un po’ al primo amore, l’atletica. Si qualificò per Helsinki ’52 nei 400, finì terzo, a nove decimi dai cavalieri del sogno giamaicani George Rhoden e Herb McKenley che battagliarono fianco a fianco a ritmo di 45”9, e diede una mano alla 4x400 americana, seconda a un pelo dagli implacabili caribici. Passato professionista nel football con i Chicago Cardinals, passò ai Los Angeles Rams (che per averlo diedero nove giocatori a quelli della “città del vento”) e successivamente per i Detroit Lions e per i Philadelfia Eagles chiudendo la sua vita di corsa con 12.799 yards guadagnate. Al tempo, secondo solo al leggendario Jim Brown.

Giorgio Cimbrico

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