Yego, il lancio più lungo del XXI secolo

26 Agosto 2015

Ai Mondiali di Pechino il keniano Julius Yego conquista il titolo iridato con un incredibile 92,72 che ne fa il terzo giavellottista di tutti i tempi

di Giorgio Cimbrico

“Dopo i 400hs, il giavellotto: a certe cose in Kenya non siamo abituati”, confessa Julius Yego. Non sono abituati neppure tutti quei suiveur che avevano individuato nel bacino dl Baltico l’origine e lo sviluppo del lancio che fa delirare finlandesi, estoni, svedesi, polacchi, russi nati sulla Neva. Sisu, la forza fisica e spirituale che deve accompagnare in pedana: chissà se esiste una traduzione in swahili.

Ora, Africa, quella araba di Ihab Abdelrahman el Sayed, egiziano grosso come il genio che esce dalla lampada, e quella attestata sull’Equatore di Julius Yego, il primo kenyano a vincere un titolo mondiale senza lasciarsi alle spalle dai due ai 25 giri di pista o magari 42 chilometri sull’asfalto. Julius se la cava con una ventina di metri, non di più. Non è un adone, non è alto, non è slanciato: il sedere grosso, un accenno di pancetta: 1,74 per 85 dice la scheda. Una cosa sola non gli riesce: il più lungo lancio del XXI secolo. Per otto centimetri, 92,80, resiste Mastro Jan Zelezny con il lancio che gli diede il terzo titolo a Edmonton: era il 12 agosto 2001. Poi viene lui, il 26enne nato a Cheptonon, nel distretto dei Nandi, grandi corridori, grandi saltafossi. “Ci ho provato anch’io, ma ho lasciato perdere”. Una scorsa ai testi sacri gli assegna un’etichetta romanzesca e cinematografica: il Terzo Uomo. Dopo il boemo, solo Aki Parviainen, 93,09, ha fatto meglio di lui.

Per un kenyano avere la passione per il giavellotto è più o meno come se un ragazzo italiano o spagnolo volesse giocare a tutti i costi a cricket o a lacrosse. E così da ragazzo Julius si abbevera a Toutube, ammirando le parabole di Zelezny, le botte del bel Thorkildsen, gli uomini dal braccio d’oro. Lui se la cava con un giavellotto che aveva trovato nel magazzino della scuola. Rotto quello, la provvidenza prende le sembianze del suo insegnante di geografia che, mettendo mano al cuore e al portafoglio, gli fa il più bel regalo del mondo.

I progressi volano via con i foglietti del calendario: il record del Kenya strappato a Lagat, il muro sfiorato al ritorno dal primo dei suoi soggiorni a Kuortane, dove trova Petteri Piironen che allena anche l’egizianone. “In Finlandia mi hanno fatto capire se fai 80 metri sei un giavellottista. Sennò…”. Tornando a casa, lasciandosi alle spalle quel limpido freddo che trova a Suomi, 79,95: è quasi un giavellottista.

Dal 2014 cambia marcia. Prima di tutto, diventa il primo kenyano a diventare campione di quello che fu l’Impero: a Glasgow vince i Giochi del Commonwealth. E qui vale la pena aprire una digressione. Yego, che porta lo steso cognome di un ottocentista stortignaccolo ma efficace (Alfred, campione del mondo a Osaka) non è il primo kenyano a dimostrare di avere il braccio buono. Nel ‘74, ai Giochi del Commonwealth di Christchurch, che si trasformarono in una magnifica saga del mezzofondo, il paese che sulla bandiera ha lo scudo masai e, guarda caso, due lance incrociate, portò un tal John Majaka che lanciò a 77,56 e finì terzo. John non aveva idea di come di lanciasse il giavellotto e in questo senso gli diede una forte mano un lanciatore australiano che, durante un allenamento, aveva notato che il giovanotto aveva una gran spalla. Un ritocco, un consiglio e voilà, arrivò una medaglia.

Nel 2012, dopo la vittoria agli African Games di Maputo, lo portano a Londra: 43 corrono, lui è l’unico che lancia. Finisce dodicesimo nella giornata luminosa di Keshorn Walcott, l’ex giocatore di cricket che viene da Trininad. E’ il primo segno che la geografia del giavellotto sta cambiando, che occorre un atlante più voluminoso. E ai Mondiali di Mosca, comincia a spedire l’aliante più lontano, sino a 85,40. Il podio è lì, basta salirci. Fregato da Dmitri Tarabin, marito di Maria Abakumova, per poco più di mezzo metro. Non ne fa un dramma.

Gli ultimi mesi sono una cavalcata segnata da un destino benigno: a Ostrava il giudice non si accorge che, dopo essersi tuffato, Julius tocca con una mano il limite di pedana. 86,88, record kenyano. E il 7 giugno, a Birmingham, la sua pervicacia ha la meglio: spara lontanissimo, oltre i 90, gli danno fuori settore, ma lui mette in pedana anche l’ostinazione: “Intanto misuratelo, poi vedremo”. Lo misurano e convengono che i confini non erano stati tracciati come si deve: record africano e ingresso tra i primi dieci della storia.

Quando trova il corridoio buono nel cielo, non ce n’è per nessuno: poche ore fa, nel Nido, 92,72 e un nullo finale da 90 e spiccioli. A seguire, foto ricordo con el Sayed, che sfiora gli 89, e con Tero Pitkaemaki, il salvatore del’onore del nord, che lo sovrastano di un palmo. Se David Rudisha ha avuto l’ordine della Lancia Fiammeggiante, Julius deve essere nominato Gran Maestro.

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