Tergat, il simbolo del cross
25 Marzo 2017Nella storia dei Mondiali di corsa campestre, il keniano è stato il primo atleta a centrare cinque vittorie consecutive, tra il ’95 e il ’99
di Giorgio Cimbrico
“Il cross è nelle mie vene”: Paul Tergat, a Kampala da simbolo della corsa più spontanea e affascinante, regala con poche parole la migliore immagine, la migliore descrizione di se stesso. L’uomo dei prati, del fango, degli ostacoli naturali o artificiali, dell’affondo portato al momento giusto, il primo ad aver confezionato la prima striscia di cinque successi consecutivi allungando quella di John Ngugi: l’uomo dal labbro pendulo e tremante aveva centrato un poker a cui, successivamente, avrebbe aggiunto un quinto asso. Kenenisa Bekele avrebbe uguagliato Paul tra il 2002 e il 2006 e, non contando le vittorie nel “corto”, si sarebbe portato in cima alla lista di sempre arrivando a mezza dozzina nel 2008. Senza la battuta d’arresto di Mombasa, ad opera dell’eritreo Zersenay Tadese, sarebbe arrivato alle “magnifiche sette”.
Paul, oggi 47enne e originario del lago Baringo, Rift Valley, nel 1995 inaugurò la sua era nella dura edizione di Durham, Inghilterra del Nord; da africano trionfò due volte nel suo continente (tra i vigneti di Stellenbosch e sotto il sole di Marrakech), solcò da protagonista il verde (e posticcio) percorso nel parco del Valentino, a Torino, chiuse la sua lunga “mano” sui prati bagnati e severi dell’università di Belfast. L’azienda italiana che lo assisteva aveva preparato una maglia celebrativa per quella sua catena di vittorie: l’iniziativa non si rivelò di cattivo augurio.
Spesso, in quegli anni di dominio, l’interrogativo che gli veniva posto era: “Non sarebbe l’ora che il Kenya organizzasse il Mondiale?”. Immancabilmente il compìto Paul rispondeva: “Grazie per la domanda” augurandosi che quel traguardo fosse finalmente raggiunto. La rassegna approdò finalmente in una delle grandi patrie della corsa quando Tergat aveva già riposto le scarpette chiodate nell’archivio delle sue rimembranze più liete.
Ricordato come uno dei più grandi crossisti della storia, Paul ha disseminato la sua vita di gioie e di delusioni, vissute con un sorriso e uno stile inimitabili: è stato il primo a scendere sotto i 26:30 nei 10.000 (il 22 agosto saranno vent’anni) ed è stato anche il primo a violare la barriera delle 2h05 nella maratona, sullo scorrevole percorso di Berlino. L’uno e l’altro dei record del mondo gli vennero sottratti da chi ha saputo trasformarsi in una feroce e sorridente nemesi: Haile Gebrselassie.
Il momento più alto, emozionante, coinvolgente della loro lunga sfida venne a Sydney, la sera del 25 settembre 2000, la stessa dell’apoteosi di Cathy Freeman. Sin dalla prima mattinata di gare, l’atletica aveva richiamato all’Olimpico, situato nel sobborgo di Auburn, un pubblico formidabile, ma quel giorno ogni record saltò per aria: 112.524 spettatori. Molti erano ancora storditi, eccitati, dall’impresa della ragazza di radici aborigene, ed ebbero l’occasione di partire per la dimensione di un sogno assoluto, fatto di eleganza e spietatezza, costruito su 25 giri che non lasciarono spazio alla monotonia, tantomeno alla noia. La trama della corsa condusse fatalmente a uno scontro tra i due colossi dell’Africa Orientale: tre keniani contro due etiopi. Dopo esser scivolato all’indietro per meglio lanciare il suo assalto, Tergat lanciò la freccia ai 250 metri: non c’era solo l’oro olimpico in palio, ma anche la chance di piegare Gebre sul suo terreno. Tumulto cardiaco nella curva popolata da keniani e etiopi, costellata di bandiere con gli scudi masai, con la stella. Paul, alto ed elegante, aveva fatto breccia, ma Gebre non si era arreso. Il rettilineo volò in un balenare di denti scoperti, di ghigni che assomigliavano a sorrisi. Gebre ebbe la meglio per 9 centesimi e uno dei più grandi duelli nella storia dello sport finì in un abbraccio sincero.
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Le pagine IAAF sui Mondiali di Cross - Kampala 2017
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