Ereng-Sotomayor: un'ora e due record

28 Febbraio 2018

Riviviamo la carriera del mezzofondista keniano Paul Ereng, che realizzò il primato del mondo sugli 800 metri nella seconda giornata dei Mondiali Indoor di Budapest nel 1989, come Javier Sotomayor nel salto in alto

di Giorgio Cimbrico

L’ora più bella, nei trent’anni abbondanti di storia dei Mondiali al coperto, rimane fu quella che corse, il 4 marzo 1989, a Budapest, tra il 2,43 di Javier Sotomayor e la vittoria di Paul Ereng, quando il campione olimpico di Seul strappò a Sebastian Coe per sette centesimi, 1:44.84, il record mondiale degli 800.

Il balzo del cubano, che vinse con l’abisso di otto centimetri su Dietmar Mogenburg e Patrick Sjoberg, eguagliava il record del mondo all’aperto che Javier aveva centrato sei mesi prima a Salamanca, una località che sarebbe tornata nella sua storia e nella storia del salto in alto. Eppure, chi era là, alla Budapest Sportcsarnok, a un tiro di sasso dal Nepstadion oggi intitolato a Ferenc Puskas, finì per essere più impressionato e coinvolto da Ereng, da quel suo ultimo giro (che rimane la parentesi più lieta di Tonino Viali: una condotta sagace permise all’umbro di metter gli artigli sul terzo posto), volato a un palmo di terra, per rimontare e saltare negli ultimi trenta metri José Luiz Barbosa che sembrava avere un attaccapanni innestato sulle spalle.

L’eleganza di Ereng non risentiva delle sollecitazioni impresse al ritmo: una prova era già stata fornita pochi mesi prima a Seul, quando Paul aveva negato a un altro brasiliano, Joaquim Carvalho Cruz, il bis dell’oro sul mezzo miglio, un’impresa riuscita, rispettando l’ordine cronologico, soltanto al britannico Douglas Lowe, all’americano Malvin Whitfield e al neozelandese Peter Snell.

Ereng è nato a Kitale, 1900 metri sul livello del mare, nella parte orientale del Kenya, appena a sud del lunare territorio abitato dalla tribù dei Turkana. Si è spostato ventenne negli Usa, alla Virginia University, dove maturò la scelta di passare dai 400 agli 800. Terzo alle selezioni keniane dell’88, non arrivò a Seul con importanti referenze: le guadagnò sul campo vincendo con grande facilità la semifinale in 1:44.55, il prologo di quel che avrebbe offerto nel match decisivo, quando scese a 1:43.45.

Non ha avuto una carriera lunga: dopo aver raddoppiato il titolo indoor a Siviglia, non andò più in là della semifinale ai Giochi di Barcellona. Padrone di una fattoria di 50 acri nella regione natia, ha imboccato la strada dell’allenamento e ha trovato occupazione, primo keniano ad ottenerla, come tecnico del mezzofondo all’Università di El Paso.

Il suo allievo più brillante è Emmanuel Korir che proprio di recente ha superato il maestro vincendo gli 800 dei Millrose Games in 1:44.21, quarta prestazione di sempre. Korir, classe ’95, è un talento eccezionale (44.53 sui 400 merita un punto esclamativo), ma con un grafico dal rendimento oscillante: l’anno scorso, poco prima dei Mondiali, aveva offerto la miglior prestazione di stagione (1:43.10) per andare poi a incagliarsi nelle semifinali londinesi. Su di lui Paul, oggi 51enne, ha ancora da lavorare.

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La premiazione di Javier Sotomayor a Budapest 1989


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